Il mio nome è Davide Camparsi e queste sono le mie storie

Intervista a Davide Camparsi su Tra cielo e terra, antologia di suoi racconti fantastici curata da RiLL
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nel gennaio 2018]

Dal 2012 le antologie personali della collana Memorie dal Futuro si chiudono con un'intervista all'autore dei racconti pubblicati nel volume. Con piacere proponiamo adesso on line le domande e le risposte di Davide Camparsi sui racconti di Tra cielo e terra (e non solo!).


Davide, quest’anno l’antologia personale di RiLL è dedicata a te. Che effetto ti fa?

Di certo è molto bello, com’è naturale che sia. Sono felice e onorato che RiLL abbia pensato a me, anche perché per il 2017 mi ero ripromesso di cominciare a pubblicare qualcosa in “solitaria”, dopo tanti racconti disseminati qui e là. La proposta di questa raccolta è stata inaspettata quanto gradita. Oltretutto, visto il mio affetto per il Trofeo RiLL, che mi ha “svezzato”, è un regalo particolarmente caro.

Tu scrivi stabilmente dal 2013. Con una delle tue prime storie, Perché nulla vada perduto, hai vinto il Trofeo RiLL del 2013. Sono seguiti molti importanti risultati in altri premi letterari, poi nel 2015 hai vinto di nuovo il Trofeo RiLL con Non di solo pane. In cinque anni hai visto pubblicati i tuoi racconti in tanti libri e riviste, legati a concorsi e non, e ora arriva questa personale. Ma restano sempre “solo” cinque anni…

Sono stati anni molto belli e intensi. Fortunati, anche, perché molte cose sono andate da subito per il verso giusto, aprendo la strada ad altre esperienze e dandomi la possibilità di incontrare persone che sono state spesso un’ispirazione e uno sprone. La cosa bella della passione è che, oltre a essere contagiosa, ti spinge a cercare di migliorare in continuazione. Di sicuro, se mi guardo indietro, mi ritrovo molto più ricco di quando ho iniziato.

In questo periodo hai in uscita ben quattro libri. Delos Digital ha pubblicato il romanzo fantasy “L’Angelo dell’Autunno” (già finalista al Premio Odissea), con le edizioni Il Foglio è uscito il racconto lungo “Tre di nessuno”, a inizio 2018 Dbooks.it dedicherà un’antologia (“Di Carne, Acciaio e Dei”) ai tuoi racconti di fantascienza. E poi questa antologia curata da RiLL, con racconti fantastici, horror e fantascientifici. Decisamente, come autore, ti cimenti con il fantastico in tutte le sue forme!

I miei primi racconti sono stati di fantascienza, ma senza un motivo preciso. Lo fu Perché nulla vada perduto per il Trofeo RiLL del 2013, perché in quel periodo avevo letto un articolo sulla singolarità tecnologica che mi aveva appassionato. E lo furono anche i successivi per le selezioni vinte per Altrisogni, IF, Esescifi, che uscirono abbastanza vicine le une alle altre e richiedevano quel genere. Non molto tempo dopo, Massimo Mongai (con Francesco Grasso e Marco Minicangeli) mi invitarono a partecipare a un’antologia di fantascienza per l’EXPO 2015, da loro curata.
In seguito colsi l’occasione di scrivere horror con Dunwich Edizioni, il premio Esecranda e con la Nero Press, per cui è uscito a fine 2016 il racconto lungo “Terreno di sepoltura”, la mia prima pubblicazione in “solitaria”.
Passando dalla fantascienza all’horror desideravo imparare altre cose sulla scrittura. È lo stesso motivo per cui poi ho cercato concorsi che richiedessero o permettessero il fantasy (come il Trofeo la Zona Morta e la Centuria, o il Premio Odissea).
“Tre di nessuno” non è nemmeno di genere fantastico; forse è un pulp, se vogliamo per forza etichettarlo. Quello che conta per me è sempre la storia, ma i generi hanno atmosfere peculiari, voci, ritmi e soprattutto prospettive diverse. Ti permettono di usare, e di imparare a usare, strumenti diversi; di guardare le cose da angolazioni disparate. Di fare esperienze che poi, magari, ti fanno intravedere nuove vie, nuovi modi per scrivere altre storie.

E come lettore? Sei poliedrico anche lì?

Direi soprattutto come lettore. Il primo libro letto, il primo romanzo, lo ricordo ancora, è stata “L’Isola del Tesoro”, di Stevenson, portato a casa dalla biblioteca scolastica in terza elementare. Per me fu davvero come se si fosse spalancata la porta di un mondo… di infiniti mondi. Lo divorai, e poi cominciai a leggere tutto quello che mi capitava sotto mano. Crescendo i gusti si affinano, ma la curiosità, per fortuna, è solo aumentata. Alcuni lettori si concentrano su generi specifici a discapito di altri, altri non si avvicinano ai generi fantastici, perché vogliono leggere solo qualcosa che parli della “realtà”, non sciocchezze con mostri, astronavi o folletti.
Personalmente, mi piace tenere gli occhi spalancati, sgranati, perché vi entri tutta la meraviglia, possibile e impossibile.

Al di là dello specifico genere cui i singoli racconti in questa antologia appartengono, è possibile trovare un legame, un filo rosso. Forse il principale è la tua visione delle cose: spesso fra le righe dici che esiste un disegno, un progetto, che in qualche modo (imperfezioni e contraddizioni incluse) collega le cose, le persone, le vite. È così, per te?

Non lo chiamerei progetto. Un progetto presuppone un progettista e non sono affatto sicuro che esista. E, anche se ci fosse, non credo stenderebbe un progetto: troppa burocrazia, ormai. Credo che pianterebbe un seme da qualche parte, invece, e si godrebbe lo spettacolo. Credo allo spettacolo, questo sì.
È lo spettacolo a essere affascinante, contraddittorio, ma anche meraviglioso. Esiste la materia, quando invece potrebbe non esistere nulla; esiste la vita (qualsiasi definizione si voglia dare al concetto), quando invece potrebbe esservi solo materia inanimata; esiste l’essere umano (con la sua coscienza soggettiva, oggettiva e intersoggettiva), quando invece potremmo non essere altro che animali inconsapevoli alla deriva nell’universo in espansione. Se c’è un senso in tutto questo, oltre alla bellezza effimera di una vita umana, siamo noi che possiamo provare a cercarlo, a darglielo. E credo che lo facciamo più che con le scoperte, soprattutto attraverso le storie che ci raccontiamo, a cui decidiamo di credere, come singoli, ma anche come gruppi, nazioni, specie: in questo senso credo sia tutto legato, e che un disegno, un arabesco fantastico, a tratti emerga e ci rapisca con una bellezza struggente.

Infatti un altro elemento che traspare dai tuoi racconti è l’importanza che dai all’atto del narrare. Le storie aprono porte su altrove (tanto per citare il titolo del racconto che apre questo volume), su “dimensioni altre” ma insieme sul nostro mondo e su noi stessi.

Sì, e ne sono sempre più convinto. Le storie che leggiamo, che ci raccontiamo e a cui decidiamo di credere, prima di influenzare la realtà del mondo, creano e ricreano ciò che siamo come persone. Per questo hanno molta più importanza di quel che siamo abituati a riconoscervi, e ci cambiano senza che ce ne rendiamo conto, molto spesso.
Non è importante se nessuno ha mai visto Dio o se esista davvero: se centinaia di cavalieri medievali credono alla storia che è necessario liberare Gerusalemme dal giogo degli infedeli, vi sarà una crociata. Se racconto una storia a me stesso in cui certi valori sono importanti e altri no, tenderò a credervi e a comportarmi di conseguenza. Se mi raccontano una storia in cui alcune persone sono pericolose per me, per il mio lavoro o il mio stile di vita, e non ho altre storie cui credere, diverse, o con un altro punto di vista, forse tenderò a convincermi che sia così. E cambierò di conseguenza.
Per questo credo che le storie siano importanti. Le storie, anche quelle più leggere, oppure horror, di fantascienza o fantasy, alla fin fine non parlano che di noi. Solo che i mostri e i draghi, per quanto mi riguarda, sono più divertenti….

Quindi questa stessa antologia è una porta su altrove?

Certo. Come lo è qualunque storia o raccolta di storie. Si parte per un viaggio e, se il viandante è sufficientemente curioso e il narratore abbastanza in gamba, si può tornare in qualche modo cambiati, con una prospettiva diversa con cui riflettere su cose che si credevano familiari. Rafforzati o incerti. E, perché no?, magari con un pizzico di meraviglia in più, che è sempre un buon carburante per mettersi in discussione. La certezza è pigra, le domande ti costringono a cercare. Un uomo che cerca non è mai senza fede.

A proposito di fede. Spesso i tuoi racconti contengono riferimenti alla religione, a divinità, o hanno divinità per protagonisti. Posso chiederti perché?

Forse perché da bambino, come favole della buonanotte, mio padre mi leggeva brani di una vecchia Bibbia che avevamo in casa: non i salmi o cose del genere, ma le storie di Giuseppe, il racconto del Diluvio, Davide contro Golia. Oltre a essere molte cose, la Bibbia è un grande forziere di fantastici racconti: ci sono uomini, guerrieri, battaglie, Faraoni, piaghe e catastrofi, miracoli, spiriti e Dei.
Se sei una persona curiosa, crescendo, immagino sia naturale approfondire quelle storie, la fede, farsi delle domande che poi magari portano a risposte inaspettate, ma che ti lasciano comunque dei ricordi e delle suggestioni, dentro.

In Non di solo pane Dio scende sulla Terra e, fra le altre cose, va a cena da una famiglia di Verona, la tua città. Avendolo a cena a casa tua, cosa gli chiederesti? O perlomeno: cosa gli cucineresti?

Di certo non cucinerei, ma di domande ne avrei parecchie, soprattutto su aneddoti storici.

Un altro elemento che ricorre nelle tue storie è la relazione fra solitudine e violenza. Penso a Rosso e a La pecora perduta

Se vogliamo tornare alle citazioni bibliche, c’è ne è una che mi pare azzeccata: non è bene che l’uomo sia solo. Credo che ci sia una profonda verità in questo. Non siamo fatti per essere soli. Forse vale per tutti gli organismi viventi, ma immagino in modo più marcato per le creature che hanno una coscienza più sviluppata. Abbiamo voci nella testa che non se ne stanno zitte un secondo, letteralmente (provate a smettere di pensare, se ci riuscite) ma, se prestiamo attenzione solo a quelle, col tempo impazziamo, in qualche modo ci “guastiamo”.
Abbiamo bisogno di altri punti di vista, voci diverse dalle nostre, per non corromperci. La mente è una cosa potente, ma fragile. Abbiamo bisogno di storie, come dicevo prima. Le buone storie non ci fanno sentire soli, allontanano la paura, infrangono la solitudine, ci rendono migliori.

Come scrivi le tue storie?

Quando scrivo un racconto immagino la storia, oppure un personaggio, altre volte voglio solo scrivere di un’idea che mi affascina in quel momento. Di solito non penso a messaggi da trasmettere.
Qualche volta capita che le storie cambino mentre le scrivo. Ho pensato di scrivere Quando gli animali parlavano riflettendo sul fatto che molte persone non li amerebbero così tanto, se gli animali potessero parlare e dire cosa pensano di noi. Poi il racconto ha preso un’altra piega, scrivendolo, e qualcosa penso che dica, ma di certo non quello che immaginavo all’inizio. Ma in generale, se una storia è abbastanza buona, qualcosa trasmetterà di certo.

Dopo questi primi cinque intensi anni di scrittura… per il 2018 (e oltre, se vuoi) cosa c’è dietro l’angolo per te?

Per il 2018 sto ultimando un progetto piuttosto lungo che mi ha tenuto impegnato negli ultimi otto mesi. L’intento è continuare a scrivere storie lunghe, come la prosecuzione de “L’Angelo dell’Autunno”, e magari altre cui sto pensando. Di sicuro ci saranno altri racconti, alcuni anzi li ho già scritti, perché è una forma che amo, la cui lunghezza contenuta permette di spaziare agilmente tra mille idee e possibilità.
C’è da dire che alle storie basta un autore, ma hanno bisogno di molti lettori, quindi staremo a vedere come andranno le cose.

(nella foto: Davide Camparsi a Lucca Comics & Games 2017, con la targa premio per "Quando gli animali parlavano"; foto di Emiliano Angelini)

Davide Camparsi
Tra cielo e terra
Racconti fantasy
Wild Boar Edizioni
136 pagine, formato tascabile.
Illustrazione di copertina: Valeria De Caterini
prezzo di copertina: 10 euro
prezzo speciale RiLL: 10 euro (spese postali incluse)

(il volume è anche disponibile su Amazon e Delos Store)


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