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di Stefano Masci
Terzo classificato al V Trofeo RiLL
Il dito di Antonio mancò per due volte il bersaglio disturbando la cena della signorina De Paolis e il sonno di un figlioletto il cui cognome era Sernonis. Al terzo tentativo la voce gracchiante nel citofono disse pronto.
“Michele?”
La voce confermò lasciando intendere che a meno d’ulteriori informazioni non avrebbe aperto il portone.
“Sono Antonio. Antonio Grattini della ragioneria”.
“Ah. Scusami non ti avevo riconosciuto. Che succede?”
Le informazioni non erano sufficienti. Ma Antonio aveva troppo bisogno di parlare con qualcuno per essere disposto a tergiversare perciò, senza troppe formalità, chiese il permesso di salire.
“Certo. Ti apro. Scala B quarto piano”.
Nonostante la porta della cucina fosse stata socchiusa, Antonio percepì subito, entrando, l'odore di cibo.
“Scusami tanto se ti disturbo. Stavi mangiando.”
“Non preoccuparti” rispose Michele indicando la via per il salone. “Avevo quasi finito.”
Antonio non si mosse. Fermo sulla porta sembrava indeciso se rimanere od andare via. Gli si poteva leggere nell'espressione grinzosa della faccia e nelle mani serrate a pugno un grosso conflitto interiore. Michele non l'aveva mai visto così. Non che lo conoscesse benissimo, erano nello stesso ufficio da quattro anni, ma avevano sempre lavorato in settori diversi.
“Preferisco andare in cucina. Così non avrò troppi sensi di colpa se parliamo mentre finisci di mangiare.”
Michele provò a ripetere che non era importante. Ma l'altro era deciso e lui aveva appena messo nel forno a microonde il timballo che gli aveva lasciato la sua domestica. “Sai, a mensa si mangia decisamente da schifo. Sì, lo so. E poi noi single... Ma certo! Allora per di qua, seguimi…”
Le formalità erano esaurite. Volgendogli le spalle e trattenendo la salivazione Michele aprì lo sportelletto e con una forchetta fece scivolare la pasta nel piatto:
“Scusa se non ti ho riconosciuto, prima al citofono, è che mi sarei aspettato chiunque...”
“Sono io che mi devo scusare per essere piombato qui, a casa tua all'ora di cena.”
Michele fece un gesto con una mano come per dire che non valeva la pena di fare tutti quei convenevoli, ma gli venne veloce e si maledisse per aver rischiato l'equilibrio del timballo.
“Sì, certo.” Continuò Antonio. “Ma nonostante il fatto che non ci siamo mai frequentati al di fuori dell'ufficio, tu sei l'unico cui posso raccontare... con cui posso parlare sicuro di essere capito.”
Michele si fermò con il coltello filante di mozarella a mezz'aria. Stupito per quel complimento e incuriosito per l'atteggiamento del collega. Certo il loro non si poteva definire un rapporto di amicizia. Non erano mai andati ad una partita insieme, né tantomeno avevano mai parlato di cose intime o personali, però ci si era trovato sempre bene a discutere di cose generali. Antonio era molto intelligente ed aveva una maniera tutta sua di guardare la realtà e di spiegarla, e Michele era sicuro che lo stesso era per il collega nei suoi confronti. Ma non se lo erano mai detto e quella confessione era un po'… come dire? personale.
Antonio si rese conto che si stava lasciando andare, e proseguì: “Solo tu puoi capire, e darmi un consiglio su ciò che è più giusto da fare. Ti prego, fammi parlare.”
“Ok. Spero che non sia nulla di grave? Ti spiace se intanto...”
“No. Anzi!”
“Ne vuoi un po'? La signora Maria cucina benissimo.”
“No, grazie. Ti ricordi di Stefano Fabrizi? Quello che lavora nella mia stanza…” ed Antonio iniziò a raccontare quello che lo aveva spinto a fare ciò che una persona riservata come lui non avrebbe mai fatto.
Michele era sorpreso della presenza del collega ma non si poneva troppe domande. Era affamato e la curiosità era la seconda delle cose che voleva soddisfare, ma ascoltava attento anche se indeciso se mettere nel forno a microonde lo strüdel congelato o finire con un'altra porzione di timballo.
Alla fine decise di bissare e affondò la paletta dalla parte affilata nel tegame di ceramica. Era concentrato nel far scivolare la porzione nel piatto in modo che non si adagiasse di lato facendo così uscire il ripieno, diceva lui, in realtà era una cosa puramente estetica, se non addirittura di superstizione. Era concentrato, ma la parola gli fece addirittura sbagliare mira lisciando il piatto.
“ ...lieno!”
“PORC... Che hai detto? Scusa, vuoi ripetere?” fece Michele sgranando gli occhi.
“Ho detto che secondo me è un alieno. Ne sono convinto.”
“Scusa se riassumo, forse ero distratto. Mi stai dicendo che Fabrizi, quello mezzo pelato alto alto e magrissimo, è un essere di un altro pianeta?”
Antonio mosse il capo in alto e in basso un paio di volte prima di emettere un grosso sospiro.
“Proprio lui. Lo so quello che pensi. Ma sei l'unica persona che conosco qui, e a qualcuno lo devo dire. Permettimi di raccontarti tutto. Poi giudicherai tu. OK?”
Michele raccolse dal tavolo il timballo con la paletta e, con mano ferma, si alzò e li gettò nella pattumiera. Guardò Antonio e, con aria sinceramente preoccupata, gli fece cenno con il capo di andare in salone. Raccolse la paletta dalla spazzatura e la gettò nel lavandino. Poi disse “Andiamo di là”.
Il salone era piccolo, ma dato che conteneva l'indispensabile: un comodo divano con una poltrona, una libreria scarna, lo stereo ed il televisore, sembrava più grande.
Michele si sedette nella poltrona, poi si rialzò non soddisfatto dell'atmosfera, e andò a mettere un CD dei Manhattan Transfer.
“Ora dimmi tutto!”
Antonio non aspettava altro.
“Da quando è arrivato è sembrato strano a tutti, ma io l'ho sempre difeso. Però, ultimamente... E' con noi in azienda da tre anni, e non è mai venuto a mensa. Aspetta, fammi finire. Non parla mai di sé, e nessuno sa niente della sua vita. Possibile che non abbia una donna? Alla sua età?”
“Aspetta un attimo Antonio. Secondo me uno che non viene a mangiare a mensa non è un alieno, ma uno saggio molto più di noi. Anzi, di me. Neanche tu, mi sembra, sei mai venuto a mensa?” disse Michele tentando una battuta.
“Sì, hai ragione, ma non intendevo questo. E' che nessuno l'ha mai visto mangiare. Non è strano? Il mese scorso c'è stato il rinfresco per la promozione di Alfredo. Ti ricordi? E Alfredo ha messo in bocca a Fabrizi un bignè, mignon, e lui dopo due secondi è andato in bagno a vomitare. E quando si parla di donne, scusa ogni tanto succede, lo sai, lui ti guarda come se non capisse niente di quello che stai dicendo e ti fa sentire un fesso.”
Michele era esterrefatto. Stava guardando la persona che aveva di fronte come se fosse la prima volta che lo vedeva. “Possibile che questa persona ha passato con me quattro anni e che io la conosca così poco?”. Si chiedeva. “La gente è proprio strana. Tu pensi che sia normale, e poi una sera, che hai deciso di strafogarti un timballo da ottomila calorie, lui ti piomba in casa e ti racconta con giri di parole che è un paranoico depresso che ha tanto bisogno di parlare con qualcuno”.
Ripensò alla sua situazione di single. “Voluta!”. Però la solitudine pesava anche a lui. “Non sempre, però!”. Non sempre. Ma ogni tanto fantasticava “Se le cose fossero andate diversamente con Franca, chissà, forse ora avevamo anche un figlio. Di quattro o cinque anni. Lo potevo portare in palestra con me...”.
“... paranoico. Lo so. Lo so. Ma aspetta che continui. Non puoi negare che Fabrizi abbia degli strani comportamenti.”
“No. Ma che c’entra! Senza offesa, ma anche tu... anche io... possiamo sembrare strani a qualcuno.” Era riuscito a trattenersi. Non aveva intenzione di offenderlo. Da una parte era incuriosito, ma dall'altra aveva voglia di cacciare via quel moralista paranoico.
“Sì, certo. Tutto questo prima della notizia sul giornale”, e fece una pausa che fu raccolta in pieno.
“Che notizia?”
“Dopo tre giorni la festa di Alfredo, fu trovata morta, a 200 metri dal nostro ufficio, una donna. Svuotata come un pasticcino alla crema. Così dissero i giornali.”
“Cristo! Scusami se te lo dico, Antonio. Ma tu sei sul serio un po' paranoico! In questa cazzo di città vengono uccise tre donne alla settimana, e nessuno alla polizia pensa di correlarle ai bignè alla crema. Spero!”
Michele si alzò ed aprì uno sportello della libreria. Aveva voglia di farsi un goccio. Non riusciva a capire il perché, ma questa storia lo stava facendo innervosire. “Possibile che in questo ufficio di merda basta che ad uno faccia schifo una pasta con la crema e subito, i tuoi colleghi, gli amici del cuore, decidono di imbastirci sopra una storia di pettegolezzi. Ma che pettegolezzi. Qui si tratta di fantascienza o, peggio ancora, di omicidi!”
“Scusa, ma se avete di questi sospetti, è vostro dovere, avete il DOVERE di andare alla polizia!”
Si era talmente spazientito che si riempì il bicchiere senza offrirne al collega, e si rimise seduto.
“Scusa, Michele. Non sono venuto qui per parlarti di pettegolezzi da ufficio!”
Per la seconda volta Michele ebbe l'impressione che Antonio gli avesse letto nel pensiero.
“Nessuno sa o sospetta”, continuò Antonio con lo stesso tono di voce pacato. “Sono solo ipotesi mie, e tu vedrai che...” Fece un gesto con la mano come per scacciare le mosche e proseguì. “Quindici giorni dopo la festicciola, un'altra donna venne ritrovata morta. Anche questa...”
“Svuotata come un bigné alla crema!” Finì Michele.
“Esatto! Ma molto peggio. Sembrava disidratata. Ma io non pensavo minimamente a Fabrizi. Te lo giuro. Il giorno dopo tutti, in ufficio, ne parlavano, anche perché pure questo secondo omicidio era accaduto vicino la sede. Lui è entrato nella stanza proprio mentre Maria Paola stava leggendo ad alta voce. E sai che ha fatto?”
“No. Non lo so! Dimmelo tu!”“Ha sputato per terra e se ne è andato sbattendo la porta. Noi ci siamo guardati...”
“Cazzo! Antonio! Riprenditi.” Non amava dire le parolacce, però voleva enfatizzare la sua scocciatura nei riguardi di tutta la situazione che si era venuta a creare. Fece una pausa e proseguì: “Anche i lama sputano. Anche i cammelli nel deserto sputano. Ma nessuno viene qui a raccontarmi che sono animali che vengono dallo spazio. Ma ti rendi conto? Antonio, ti rendi conto?” Ora era più calmo. Aveva deciso di parlargli come si fa con i bambini, o con i pazzi. “Fermati un attimo a riflettere. E non sventolare quella mano come se avessi la casa invasa dalle mosche! Calmati un secondo. Anche a te non piacciono i pasticcini, e a me, per esempio, la mensa fa schifo, ma sto da solo e non ho voglia di cucinare. Anche tu hai deciso di voler vivere da solo, forse per motivi diversi dai miei, però, quello che voglio dirti è che, a me, seccherebbe se a qualcuno venisse in mente che sono uno stupratore.”
“Le donne non sono mai state violentate”. Precisò con stizza Antonio e, seguitando a scacciare insetti immaginari di fronte a sé, proseguì come se non fosse mai stato interrotto: “La terza fu troppo! Il giorno prima dell'omicidio, Maria Paola, mentre stavano seduti vicini al terminale, gli chiese: ‘Ma tua moglie non ha paura a girare da sola di questi tempi? Io me la faccio sotto tutte le volte che la sera mi dimentico il pane’. Ricordo perfettamente le parole, come ricordo perfettamente la faccia di Fabrizi prima che dicesse...”
“Non sono sposato!” Questo pensava Michele. Se dice “Non sono sposato” lo caccio via a pedate.
Ma Antonio non lo fece.
“Antonio. Stammi a sentire...”
“L'ho pedinato!”
“...tu sei stressato. Hai bisogno... Come?”
“Ho le prove. L'ho seguito!”
“Che cosa hai fatto?”
“Durante il break del pranzo gli sono andato dietro e ho visto!”
“Che cosa, hai visto?”
“Passeggiava lentamente, ad un certo punto gli è passata vicino una donna, una bella donna. Lui ha chiuso gli occhi e ha inspirato forte. La donna è sbiancata e ha avuto come uno svenimento. Certo, certo. Anch'io ho pensato ad una coincidenza, poi però l'ha rifatto. Ad un certo punto ha attraversato la strada e si è avvicinato ad una ragazza per chiederle una informazione. Mentre lei gli indicava la strada lui l'ha odorata, come prima, ma con più foga. La ragazza si è accasciata al suolo senza un gemito e lui è corso via.”
“Scusa ma se hai le prove, perché mi hai prima raccontato tutte quelle scemenze e non sei arrivato subito al sodo? E perché, se queste prove sono attendibili, non sei andato alla polizia invece di venire qui?”
“Avevo bisogno di capire. Dovevo prima confrontarmi con qualcuno, con una persona razionale, con uno che fosse in grado di guardare le cose da un punto di vista distaccato. Tu sei l'unico che conosco che può darmi un consiglio.”
Ora sì, Michele era veramente confuso. Prima la situazione gli era chiara ma adesso che stava succedendo?
“L'unico consiglio che posso darti è quello di andare alla polizia. A raccontargli che c'è un vampiro alieno in città. Ma che devo dirti? Che cosa vuoi da me? Un aiuto? Un po' di compagnia? Non so...”
“No! Non è la solitudine che mi pesa. Almeno non quella che intendi tu. Voglio che mi aiuti a capire. Ho bisogno che tu mi capisca. Hai afferrato il senso di quello che ti ho raccontato fino ad ora?”
“Certo. Che un nostro collega è in realtà uno spietato assassino. In maniera confusa, ma lo capisco, mi hai detto questo. Ma tu l'hai capito il mio tanto ricercato consiglio? Vai alla polizia!”
Ma Michele non era così sicuro. La situazione gli era sfuggita di mano. Non credeva né che Antonio volesse comunicargli questo, né tantomeno era convinto del consiglio che gli aveva dato. Il suo pensiero logico e razionale che gli aveva permesso, con la sua calma, di fare carriera nella società stava venendo meno. Una specie di sesto senso, di cui aveva sempre dubitato dell'esistenza, gli segnalava che c'era di più. Che c'era dell'altro.
Antonio era ora disperato, quasi con le lacrime agli occhi si portò le mani irrequiete al volto.
“No. Non è questa la soluzione. Non è questo che ti chiedevo. Come ti saresti comportato tu se la tua nave spaziale si fosse schiantata irrimediabilmente su di un pianeta alieno? Lo capisci il dramma? Non si tratta di solitudine perché non hai una donna. Non si tratta nemmeno del fatto che non ti piacciono i pasticcini, perché non hai mai assaggiato neanche i componenti primari dei pasticcini. Capisci? Come fai a non vomitare alla sola idea di mangiare della crema se sei nato da un uovo.” Adesso piangeva copiosamente. “Certo non di gallina, però sempre un uovo.”
“Non era vero niente di quello che mi hai detto di Fabrizi, vero?”
Antonio, singhiozzando scosse la testa. Michele aveva la pelle d'oca, ora. Proseguì: “Sei tu quello! Sei tu l'alieno. Era questo quello che volevi dirmi? Su cui volevi un consiglio?”
“Sì, Michele. Vengo da un altro pianeta, è vero. Ma mi sono quasi abituato a voi. Certo mi manca la mia gente, ma stavo bene. Stavo bene prima che succedesse questo, che mi piacesse questa cosa orribile che mi sono scoperto a desiderare tutti i giorni che mi alzo, tutti i momenti che sto in mezzo a voi. Non so che genere d'aiuto speravo che mi potessi dare. O forse lo so!”
Michele era esterrefatto. Ormai era in tilt. Un extraterrestre a casa mia? Pensava mentre gli occhi vagavano sul collega alla ricerca delle antenne verdi. Devo chiamare l'università o la polizia o, meglio sarebbe la neuro per tutti e due. Gli posso chiedere, però, qualche invenzione rivoluzionaria. Esiste allora la vita oltre la Terra. E' solo un pazzo assassino. “... Ho scoperto di essere omosessuale!”. Certo se viene da un altro pianeta domani altro che ufficio. Che hai detto? Che sta dicendo?
“Che hai detto?...” Ma Michele non finì la frase. E soprattutto non sentì Antonio che gli chiedeva scusa inspirando profondamente dal naso.
“Volevo che tu capissi che non l'avevo mai fatto. Questa è la prima volta che vado con un uomo, e mi faceva piacere pensare di poterlo fare con un amico, con uno che mi poteva capire e non soltanto giudicare!”
Stefano Masci è nato a Roma il 22 dicembre 1955 e qui si è laureato in Fisica.
Nel 1984 collabora alla realizzazione del settimanale romano "La Tovaglia". Nell’85 viene chiamato da Paese Sera alla realizzazione di una pagina ludica insieme ad Ennio Peres e Luigi Pulone. L'esperienza è significativa per la creazione della "Psicostoria", una storia interattiva con i lettori. Nell'85 e nell'86 pubblica due libri con la Malvarosa Editoriale. Collabora con l'inserto dell'Unità Tango e pubblica vari articoli sulla rivista "Giochi". Nel frattempo si impiega in una società di informatica che lo occupa a tempo pieno.
Continua a scrivere altri libri tra cui un romanzo di fantascienza ed uno di racconti.