L'ispirazione è individuale, ma la realizzazione può essere collettiva

La mia esperienza di autore (anche collettivo) di giochi
di Andrea Angiolino
[pubblicato su RiLL.it nel luglio 2011]


1. Scrivere giochi in gruppo: motivi ed esperienze personali

Scrivo giochi da quasi trent’anni, e l’ho spesso fatto con uno o più co-autori.
Posso spiegare questo fatto in molti modi.

A livello astratto, due o più teste sono una ricchezza assai maggiore di una, in un lavoro creativo. Sono anche più della loro semplice somma, perché le scintille creative sprigionate da una testa possono accendere fuochi nell'altra, e perché poi anche in fase di sviluppo ognuno può essere efficace moderatore, sviluppatore e ri-elaboratore delle idee dell'altro. Ovviamente se c'è sintonia e comune voglia di fare.

Poi, in concreto, mi sono trovato assai bene a lavorare con persone che abbinano competenze diverse dalle mie e quindi complementari: magari anche esperti di giochi, ma soprattutto dei temi legati all'ambientazione. E questo è stato ovviamente anche preziosissimo per ottenere giochi assai più ricchi e accurati di quanto avrei potuto farli da solo.
Mi riferisco, ad esempio, ai giochi storici che ho scritto con l'archeologa Francesca Garello, soprattutto quelli dedicati all'antichità classica: credo che il supplemento Italia per Lex Arcana sia riuscito assai bene, con la sua rivisitazione a tratti ironica degli antichi miti (ma anche di qualche aspetto più cronachistico) della nostra penisola. E poi il libro-gioco I misteri delle catacombe, ambientato nel quartiere romano di Testaccio più di 1700 anni fa, che ha visto la compartecipazione di Domenico Di Giorgio, grande scrittore ludico a bivi. Con lo storico dell'aeronautica Gregory Alegi ho realizzato un paio di giochi sulla storia dell'aviazione: il libro-gioco Il gobbo maledetto e il boardgame La Squadriglia degli Assi, pubblicato dal Ministero dell'Aeronautica; si tratta di lavori della prima metà degli anni '90, ma ancora oggi trovo appassionati che li ricordano con piacere. Con il cultore di manga Paolo Parrucci abbiamo fatto una serie di tre giochi sui cartoni animati e fumetti di Dragonball, distribuiti anche in edicola dalla Nexus Editrice. Mi pare siano venuti bene, e che siano stati apprezzati dagli appassionati del genere più di altri simili prodotti da edicola di case editrici ben più grandi.
Infine, con l'ex capo scout Pier Giorgio Paglia (insieme al quale ho poi fatto varie altre cose…) ho scritto Avventure al campo, il primo libro-gioco di ambientazione scoutistica di sempre.

Ho realizzato giochi in squadra anche perché, alle volte, mi è capitato di essere coinvolto da qualche collega in lavori che non pensavano di poter portare a termine con le proprie forze, e ai quali magari stavano rinunciando: io credo di essere molto focalizzato all'obiettivo, quando c'è una scadenza e la certezza della pubblicazione. E quindi in più occasioni mi sono aggiunto come co-autore a un progetto che rischiava di arenarsi, proprio per dare la spinta necessaria a portarlo in porto.

Questo porta a parlare dei lavori su commissione. Da un punto di vista professionale, hanno il vantaggio di assicurare quasi sicuramente la pubblicazione, e hanno un rendimento economico più certo. Però le maggiori soddisfazioni, anche in termini economici, sono venute da giochi che ho inventato e per i quali ho poi cercato un editore adatto (operazione non sempre riuscita, tanto che ho vari prototipi ancora inediti nei cassetti…).
Inoltre, se si opera in gruppo, i giochi su commissione comportano dei rischi, per via delle scadenze più pressanti fissate dall’editore. E' possibile, ad esempio, che i vari co-autori non credano ugualmente nel progetto, che abbiano ritmi di lavoro diversi o che siano pressati da altri impegni, e questo ovviamente genera problemi ai fini del lavoro di squadra.

Devo comunque ammettere che anche a me è successo di non essere il migliore dei co-autori possibili. Mi è capitato soprattutto per i lavori "a rischio", quelli prima da realizzare e che poi vanno in cerca di un editore.
In questi casi, spesso non ho saputo dimostrare la stessa capacità di rispondere in tempi ragionevoli alle sollecitazioni. Non è stata questione di cattiva volontà, solo di priorità del momento… ma ne approfitto per scusarmi con chi mi ha coinvolto in progetti del genere, con mie risposte tutt'altro che tempestive.

A proposito del mio coinvolgimento in progetti partiti da idee altrui, un gioco emblematico è Isla Dorada, che Bruno Faidutti ha realizzato riprendendo le meccaniche di Ulysses (ideato e pubblicato da Pier Giorgio Paglia e me) e usando come ispirazione anche Elfenland, di Alan R. Moon.
Altri autori avrebbero realizzato il nuovo titolo da soli: diversi giochi sono tratti direttamente da Wings of War, e senza riconoscergli nulla. Invece Faidutti ci ha contattato, ci ha chiesto il permesso di recuperare parte delle idee di Ulysses, e ci ha reso coautori del nuovo prodotto.
Io ho discusso il progetto con lui e l'ho anche raggiunto in Francia per un po' di collaudo, ma devo dire che il gioco è soprattutto suo: se c'è il mio nome sopra, anche se giustamente in caratteri un po' più piccoli di quello di Faidutti, è per la squisita correttezza di questo grande autore.

Forse l'opera più interessante cui ho preso parte, dal punto di vista del lavoro a più mani, non è tanto un gioco, ma il Dizionario dei Giochi che ho scritto con Beniamino Sidoti per Zanichelli. Siamo entrambi esperti e giornalisti ludici, con diverse passioni in comune, ma abbiamo esperienze anche complementari: lui ha esplorato meglio di me i giochi per bambini, i giochi popolari e quelli con le storie, per fare qualche esempio, mentre io conosco più di lui i libri-gioco, le simulazioni e l'enigmistica.

Compilare un dizionario ludico è presto diventato un gioco a sua volta, e anche assai compulsivo: dovevamo consegnare almeno un milione di battute in un paio d'anni dalla firma del contratto, ce ne abbiamo impiegati più di dieci e abbiamo raggiunto i sette milioni e mezzo di battute. Il tutto in "telelavoro": Ben ed io viviamo a centinaia di chilometri l'uno dall'altro e ci siamo visti davvero poche volte per collaborare di persona. Ma credo che il risultato valga lo sforzo e che non sia facile distinguere nel volume i contributi dell'uno e dell'altro.

2. L’organizzazione del lavoro
Quando si è in gruppo, è abbastanza ovvio ripartire il lavoro fra i diversi autori.

Spesso sono partito da una suddivisione di compiti piuttosto precisa, che è assai utile per ottimizzare i tempi e lo sforzo collettivo.
Per esempio, nel gioco di ruolo I Cavalieri del Tempio mi sono occupato con Massimo Casa dell'ambientazione storica e delle regole connesse, mentre Giuliano Boschi, Agostino Carocci e Luca Giuliano hanno sviluppato chi la creazione dei personaggi e la risoluzione delle azioni, chi gli aspetti esoterici. Questa divisione è stata agevole, perché tali parti corrispondevano a sezioni diverse del manuale. Il gioco è stato comunque frutto di una discussione collettiva iniziale, per impostarne le linee generali e il lavoro, ed è inoltre stato sottoposto alla ripetuta revisione intermedia e finale di ogni co-autore.
Anche le diverse avventure da scrivere, per il volume base e l'espansione La veridica historia di Cristobal de Colon, ce le siamo suddivise. Io poi mi sono occupato soprattutto di dare loro una struttura a blocchi, non dissimile da quella dei libri-gioco, di cui avevo più esperienza degli altri. Questa è stata un’operazione un po' diversa rispetto allo scrivere una sezione ben precisa del manuale, perché ha significato intervenire a posteriori su quanto ideato da altri, il che esemplifica l'altra modalità più consueta di lavoro collettivo, quella dell'intervento a fasi successive su uno stesso materiale.

Nel caso dei libri-gioco, a volte io mi sono occupato più della stesura e degli aspetto ludici e altri di quelli di ambientazione, magari avendo più io in carico la struttura dei rimandi e il co-autore le descrizioni e i dialoghi più "di atmosfera". Altrimenti, è stato molto divertente e giocoso portare avanti la storia a turno, lasciandola ogni volta aperta perché l’altro autore potesse continuare. Questo modo di scrivere, però, nei libri-gioco ben fatti è assai più faticoso che con le normali storie “lineari”, perché i punti aperti sono sempre numerosi e perché occorre tenere in ogni istante ben presente lo sviluppo di tutto l'albero narrativo, affinché gli sviluppi successivi siano coerenti con ogni possibile antefatto.

Anche con i giochi da tavolo su commissione mi sono ritrovato a curare il regolamento mentre qualcun altro si occupava dell'ambientazione, anche se questo è più difficile rispetto ai casi sopra citati. I giochi da tavolo, infatti, sono tanto più efficaci quanto più queste due componenti di meccanica e di tematica sono fuse armoniosamente tra loro. Ma possiamo considerare separate, in un certo senso, la fase di ricerca e quella di sviluppo, che quindi possono essere affidate in prima battuta a persone diverse.
Inoltre, talvolta io ho ideato lo schema generale e le caratteristiche dei materiali, mentre poi le singole carte o i singoli elementi in cui si concretizzavano i vari aspetti dell'ambientazione sono stati curati da un co-autore che ne aveva più approfondita conoscenza.

Si può, invece, lavorare senza una suddivisione di compiti, completamente a quattro (o più) mani su tutto?
A parte che l'ispirazione è per definizione atto individuale e collettivo può essere solo il successivo sviluppo dell'idea (quindi la paternità dell'opera alla fine non è mai così collettiva), come osserva Che Guevara nei suoi manuali di guerriglia: "un gruppo si muove al passo del più lento dei suoi componenti". Lavorare assieme su ogni cosa garantisce che in ogni fase si sia sempre al passo di chi in quel momento è meno disponibile, o meno motivato, o meno efficiente. Questo può non essere un problema, ovviamente: soprattutto lavorando di persona e non a distanza, cosa che in quei casi è alla fine più naturale, una condivisione totale del lavoro può essere una gran bella esperienza (è il caso, ad esempio, di Marco Maggi e Francesco Nepitello, NdP). Ma dal punto dell'efficacia non è premiante e non sempre te la puoi permettere, specie in progetti che abbiano scadenze precise.

Questo per quanto riguarda la creazione del gioco: delle sue regole, delle specifiche per i materiali. Poi ci sono le fasi successive: seguire la redazione e gli illustratori, tradurre o controllare le traduzioni, rivedere le bozze, fare promozione (mediatica o di persona, a fiere e manifestazioni), aiutare il customer care della casa editrice piuttosto che gli organizzatori dell'eventuale attività agonistica, e così via. Insomma, seguire la vita del prodotto attraverso tutta una serie di compiti che magari non spettano agli autori, o non solo a loro, ma che è utile che abbiano per lo meno il supporto di un autore. Se gli autori sono più d'uno, suddividerseli è effettivamente un bel sollievo.



3. Lavorare in gruppo: trucchi e strumenti
Lavorare insieme a un altro autore è una bella scuola, non solo di lavoro ma anche di vita.
Credo che, al di là delle qualità dei singoli autori, il trucco per “arrivare in fondo” con soddisfazione sia un cocktail di impegno e di disponibilità reciproca.

Impegno perché, come su un tandem, si va avanti bene solo se entrambi si impegnano a fondo e non se uno dei due tira su i piedi per riposarsi appena può (assodato che in certi momenti particolari uno dei pedalanti può anche farsi carico di tutto lo sforzo, se l'altro è in difficoltà).
Disponibilità perché occorre sempre essere pronti a rimettere in discussione qualsiasi cosa davanti alle opinioni dell'altro, a fronte di sue idee diverse e ripensamenti. O magari, nei giochi di simulazione che mi capita di fare sia per la formazione e promozione che per il mercato, in seguito a ulteriori approfondimenti che l'altro autore ha fatto sull'ambientazione da riprodurre. È un processo potenzialmente infinito... almeno fino a quando arriva la scadenza per la consegna, una mannaia tutto sommato benedetta, che costringe a dare il massimo entro tempi ragionevoli.
Il tutto senza irrigidirsi sulle proprie posizioni e anche resistendo alla tentazione di voler cambiare qualcosa inutilmente, solo per farlo, o per lasciare un proprio personale segno sul prodotto finito.

A livello più pratico e operativo, credo pochissimo alle tecnologie sofisticate come supporto a un'attività creativa di gruppo come la scrittura o la progettazione di giochi.
I sistemi di gestione di file condivisi, per esempio, non mi hanno mai davvero convinto. Io lavoro con banali file di testo, da scambiarsi cercando sempre di stare attenti a "chi ha la palla", per evitare disallineamenti lavorando in parallelo su copie diverse del file. Semplice e comunque efficace. Per i materiali grafici, analogo sistema, con file di illustrazione o impaginazione.
Nulla di più, e nulla di marcatamente diverso dagli strumenti già disponibili venticinque anni fa. È il computer in sé, rispetto ai tempi oramai preistorici della macchina da scrivere e dei prototipi con i materiali disegnati e fotocopiati, a costituire l'impareggiabile passo in avanti tecnologico che rende assai più semplice rivedere e aggiornare il lavoro fatto. E questo che si lavori da soli o in più co-autori, anche se in questo secondo caso ritocchi e revisioni sono più frequenti.
Da quando il personal è entrato in casa mia, più di venticinque anni fa, l'unico altro progresso per me degno di rilievo è ovviamente l'e-mail, una conquista ormai datata, che permette in maniera per me ottimale il lavoro a distanza. Assieme al telefono e, volendo, ai più economici (ma non necessari) surrogati come le chat e Skype. Tutto questo consente a ogni co-autore di lavorare coi propri ritmi, senza bisogno di vedersi di persona. Cosa che a quel punto può tornare a essere un piacere e non un obbligo, schiacciato dalle scadenze e dalle necessità.
Insomma, in questo ambito, dell'informatica e della telematica, come del lettore di DVD e di tante altre tecnologie, mi bastano le poche funzioni più basilari. Il resto lo lascio volentieri ad altri!

4. Il riconoscimento dell’autore
C'è chi mi chiede se l’autore all’interno di un gruppo venga percepito come “meno autore” di un autore individuale. Nella mia esperienza, giustamente no!
Il rispetto ricevuto dagli autori, singoli e no, è lo stesso, a quanto vedo, e per fortuna di recente anche in Italia questo rispetto è sempre maggiore. Almeno da parte degli editori medio-piccoli, che però sono anche quelli più attivi in campo internazionale e a cui si devono i veri successi mondiali di autori nostrani dell'ultimo decennio, quindi i più interessanti. Penso a titoli come Bang! e La Guerra dell'Anello, con tirature misurate in centinaia di migliaia di copie e un prestigio indiscusso, anche se nati da case editrici non certo enormi.

Forse sono proprio gli editori più grandi e di più lunga tradizione ad avere meno rispetto per gli autori collettivi.
Verso la metà degli anni '90 mi è per esempio capitato di fare un paio di giochi firmati come C.Un.S.A., la cooperativa di autori di cui facevo parte, nonché con i nomi delle persone che più avevano contribuito. GUT-Unicopli non ha avuto alcuna difficoltà ad accreditare gli autori in questo modo, mentre invece un editore di massima fama nazionale nel campo del gioco, quando d'estate ha mandato in stampa la nostra opera, ha tolto il nome della C.UnS.A. proprio perché non capiva come un'entità collettiva potesse essere "autore" e ha cancellato tre persone perché sei autori gli parevano "troppi". E si badi che non dovevano figurare in copertina, ma solo in una riga di testo in fondo alle regole, dove non davano fastidio a nessuno.
Ma credo in definitiva che lo scarso rispetto dimostrato per gli autori collettivi in quell’occasione sia una semplice conseguenza dello scarso rispetto per gli autori provato in generale da quell'editore. E magari qualcosa lui e i suoi colleghi hanno imparato, quando con la globalizzazione del nuovo millennio si sono dovuti confrontare (spesso con minor successo rispetto a editori più piccoli, agili e attenti) coi mercati stranieri: in particolare con quello tedesco dove l'autore, singolo o collettivo, ha da tempo un ruolo riconosciuto e fondamentale.

(testo raccolto da Alberto Panicucci)



Le due foto che corredano l'articolo:
nella prima, Valeria De Caterini e Andrea Angiolino presentano il gioco da tavolo Fair Play, a Lucca Comics & Games 2007 (foto di Alberto Panicucci); nella seconda, Andrea Angiolino spiega e gioca Isla Dorada, a GiocaTorino 2010 (foto di TinuZ).




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