La fantascienza teologica di P. K. Dick

La fantascienza di Philip Dick come nuova forma di spiritualità...
di Fabrizio Scatena
[pubblicato su RiLL.it nel febbraio 2009]


Nell’era post-moderna, priva di solidi riferimenti culturali a cui ancorarsi per trovare risposte sulla società e la vita, sembra esserci posto anche per la fantascienza come “nuovo approdo”.

Ricordo con piacere una serata trascorsa in splendida solitudine all’Auditorium di Roma, in occasione della chiusura del Festival della filosofia “Confini” del 2007, quando assistetti ad una conferenza su Philip Dick...
La conferenza, tenuta dal saggista Antonio Gnoli e dal critico Enrico Ghezzi, entrambi lettori appassionati dell’autore californiano, proponeva un’interpretazione in chiave “teologica” della sua opera.

Secondo Gnoli, nell’opera dickiana esistono indicativi elementi di carattere religioso riconducibili alla tradizione gnostica (lo gnosticismo è un complesso sistema filosofico-religioso, diffuso soprattuto fra il II e il III secolo d.C., che postula per l'uomo la possibilità di salvarsi tramite la conoscenza dei misteri dell'universo, NdP), tanto da definire tale opera come “neo-gnostica”.

Esisterebbero due ipotesi al riguardo, la prima che vede nella produzione letteraria dickiana un modello neo-gnostico che si avvale del genere fantascientifico per esprimere una visione profonda, mai completamente rivelata, di un pensiero sistematico. La seconda, più plausibile, vede in Dick un autore che ha seminato nei suoi lavori, in modo caotico, elementi riconducibili a diverse tradizioni religiose occidentali e orientali, fra cui lo gnosticismo.

Durante la sua vita, infatti, lo scrittore non smise mai di studiare testi religiosi, scientifici e filosofici, in un’incessante ricerca della verità (Dick parlava sempre di “penultime verità”).
In sintonia con il clima controculturale californiano degli anni '60-'70, lo scrittore mescolava, anche psichedelicamente, dottrine gnostiche, del Cristianesimo delle origini e delle religioni orientali, suggestioni della New Age, teorie tratte dalla psicanalisi e dalla fisica, con un approccio mai approfondito, ma molto erudito, tanto divenire per i giovani ribelli americani della West Coast un vero e proprio guru.

La visione neo-gnostica dickiana esprimerebbe una lotta fra il Bene ed il Male, fra le tenebre, rappresentate spesso da un Dio malvagio che tenta di manipolare la vita degli uomini, e la luce che s’irradia dai suoi eroi, uomini ordinari che lottano per resistere alla disumanizzazione delle loro esistenze.
La cupa visione dell’esistenza descritta da Dick nei suoi lavori è sempre il risultato della sovrapposizione di due mondi, il reale e l’immaginario, tanto da farci pensare che il nostro mondo reale non sia altro che il riflesso di una volontà superiore, quella di un demiurgo onnipotente che può assumere di volta in volta l’aspetto di un politico, di un dittatore o di un imprenditore. Come ne Le tre stimmate di Palmer Eldritch, dove il cattivo di turno è un diabolico impresario-spacciatore cyborg alla conquista di Marte, che raffigura bene il ruolo di “burattinaio” degli umani.

Dick è stato inoltre un attento conoscitore della cultura orientale, grazie soprattutto all’opera dello psicanalista svizzero Carl Gustav Jung e a testi come Il Bardo Thodol (o Libro Tibetano dei Morti), che lo ha ispirato per scrivere Ubik, e all’I-Ching (o Libro dei mutamenti), molto importante per La svastica sul sole.

Nell’opera dickiana ritroviamo spesso significativi elementi tratti dalla tradizione taoista e buddistha riguardo al concetto di “interconnessione fra tutte le cose”, altro elemento centrale della sua opera.
Il problema del confine che separa l’umano dall’artificiale è infatti uno dei temi basilari dell’opera dickiana, una riflessione acuta sulla dipendenza con gli oggetti di consumo e le tecnologie con cui conviviamo quotidianamente. Lo scrittore soffrì per tutta la vita di una forma di feticismo per gli oggetti, e probabilmente trasferì parte della nevrosi nei suoi lavori, costellati non a caso da situazioni che mettono in luce il rapporto sempre più stretto, spesso illusorio e necessario, tra l’uomo, le merci e gli artefatti tecnologici.

Durante quella conferenza presso l’Auditorium, Ghezzi fece notare proprio l’attualità della visione del futuro proposta da Dick negli anni ‘50, una visione “profetica”, che ci trasporta direttamente tra le maglie del web e alle connesse cyberfilosofie.
La vita in Rete, in cui tutti più o meno siamo impigliati, ha prodotto mutamenti epocali sui nostri stili di vita e di consumo, provocando una simbiosi strettissima con merci e artefatti tecnologici (non a torto Dick è considerato il precursore del cyberpunk) e attenuando sempre di più la soglia che divide l’umano dall’artificiale in un reticolo di mutevoli e instabili rapporti sociali.

Stiamo forse assistendo alla nascita di una nuova forma di spiritualità tecnologica, dove tecnologia e tradizione, incorporeità e materialità, cultura e natura si fondono in una nuova umanità in grado di manifestare le proprie anime per ricongiungersi finalmente con il divino? E se sì, cosa intendiamo per divino?

La fantascienza di P.K. Dick, se concepita come “teologia pratica” e visionaria, può orientarci in questa direzione, mettendoci anche in guardia dal pericolo di rimanere impigliati tra le “maglie della Rete”.

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