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di Francesca Garello
Vincitore dell'XI Trofeo RiLL
Vincitore del voto on line dei naviganti del sito di RiLL
[racconto presente nell'antologia Viaggio a Mondi Incantati, Nexus Editrice, 2005]
“Silenzio per favore. Cerchiamo di andare avanti, siamo in ritardo.”
Batté il martelletto sul tavolo per sovrastare il chiacchiericcio dell’assemblea. Guardò il foglio che aveva sotto gli occhi, cercando di riprendere il filo della discussione.
“Votiamo sugli OGM. Come si dichiara l’assemblea? Pro?”
Poche mani si alzarono. La donna contò rapida e annotò.
“Contro?”
Le mani si levarono in numero assai maggiore, alcune sventolando con foga. La donna scrisse e si voltò verso l’anziana maestosamente seduta su una grande poltrona, che annuì in silenzio.
“Metto a verbale che, riguardo al punto cinque dell’ordine del giorno per l’ottocentocinquantatreesimo Gran Sabba annuale dell’Antica Congrega di Benevento, l’assemblea è contraria all’utilizzo di prodotti modificati geneticamente per qualunque tipo di preparazione magica.”
Si piegò sul pesante tomo che giaceva sul tavolo e cominciò a scrivere velocemente con la penna d’oca. Poi sollevò di nuovo gli occhi.
“Scrivo anche i voti a favore?”
L’altra annuì di nuovo, senza parlare.
“Vabbuo’. Però sentite Melusi’, per una volta non potrei verbalizzare sul computer portatile? Ho un crampo alla mano e tutta la manica sporca d’inchiostro.”
“Ne avimmo parlato già, Chiaralu’. Certe cose vanno fatte in un certo modo.”
La donna parlò con voce sommessa ma autoritaria, muovendo appena le labbra sottili nel volto che pareva intagliato nella pietra antica. Chiaraluce abbassò lo sguardo rassegnata e completò l’annotazione, poi chiese ancora la parola.
“Sorelle, un po’ di pazienza ancora e concludiamo. Restano solo le Nuove ammissioni.”
Tacque, ostentando falsa disinvoltura. Da anni non c’erano richieste e la crisi delle vocazioni era sempre più marcata. I volti sotto gli appuntiti cappelli d’ordinanza erano tutti segnati dal tempo. Chiaraluce, la più giovane, si avvicinava ormai ai cinquant’anni.
“Dov’è la Maestra delle novizie?”
Una donna alta e risoluta avanzò fino al tavolo della decana, tenendo in mano una pergamena.
“Bene, Comare Matteuccia, fai pure il tuo rapporto. Ci sono novità?”
La Maestra delle novizie annuì. Chiaraluce ebbe uno di quei brutti presentimenti che le streghe non sottovalutano. Strinse convulsamente il martelletto cercando di dissimulare la tensione.
“Sì, c’è una richiesta.”
“Una buona notizia!”, Chiaraluce non poté trattenersi dal commentare, ed anche il resto dell’assemblea ondeggiò e frusciò gioiosamente come le fronde del noce sotto il quale sedeva.
La Maestra delle novizie assunse un’espressione indecifrabile, srotolò la pergamena e lesse d’un fiato.
“La supplica di noviziato è stata presentata nelle mie mani da John Hathorne di Salem, Massachussets.”
L’assemblea ammutolì tutta insieme, e persino le fronde si immobilizzarono in un silenzio pieno di attesa.
“Giòn Otòrn?”, ripetè Chiaraluce con pessimo accento, nella speranza di aver capito male e chiedendosi come lo avrebbe verbalizzato.
“Sissignora, proprio così” confermò compunta la Maestra.
La segretaria del Sabba sentì un’altra vibrazione nelle vene dei polsi. La sua reazione istintiva fu di dichiarare chiuso il Sabba e tornarsene a casa dai suoi gatti, ma affrontò la situazione per senso del dovere.
“Perdona, Comare Matteuccia, ma vorresti darci qualche informazione su questa supplica e sulla sua… autrice?”
La Maestra delle novizie scosse la testa.
“La supplica è corretta: pergamena, ceralacca, ciocca di capelli, goccia di sangue. La tradizione è rispettata e quindi l’ho accettata. C’è tutto. Ma è maschio.”
“E perché un uomo vuole entrare in una Congrega di streghe?”, chiese incredula Chiaraluce.
“Chiedetelo a lui, è qui.”
In uno sventolio di cappelli neri e curiosi come corvi, tutte le teste si volsero di scatto verso la direzione indicata dal dito nodoso di Matteuccia.
Alle spalle della piccola radura al centro della quale sorgeva il noce stava un giovanotto alto e magro, con capelli biondicci un po’ lunghi sulle spalle, un’ampia camicia bianca aperta, un orecchino al lobo sinistro, i piedi nudi. Il giovane spostava il peso da un piede all’altro, imbarazzato ma sorridente.
La Maestra delle novizie si fece largo e lo condusse per mano sotto il grande noce. Decine di sguardi acuminati come spilli lo accompagnarono nel breve tragitto, facendolo sentire come la bambolina su cui aveva tante volte esercitato la sua arte stregonesca.
“John Hathorne, ti presento la decana di questo Sabba e Prima Janara dell’Antica Congrega stregonesca di Benevento, Comare Melusina.”
“Madam, it’s a great honour to meet you.”
Il giovanotto si inchinò in modo goffo.
Melusina lo guardò come si guarda una biscia che entri di soppiatto nel salotto di casa.
“C’ha ‘ritte?”, si rivolse a Matteuccia, l’unica persona in tutta l’assemblea che avesse mantenuto il suo sangue freddo.
“Che è lieto di conoscervi, Melusi’. Comunque parla italiano, non vi preoccupate. Please, mister Hathorne, speak Italian, it’s the only foreign language we know. È requisito indispensabile per l’esame preliminare.”
“Ma certo Maestra, perdoni me. L’emozione mi gioca un scherzo. Comare Melusina, è con grande piacere che mi presento a lei e supplico di ammettermi per novizio tra le sue streghe.”
L’accento era marcato, la grammatica zoppicava ma la scelta e l’uso dei vocaboli erano impeccabili.
Melusina vacillò. Quell’uomo voleva diventare una strega? Finché lei era a capo della Congrega era fuori questione! Sospirò e cercò di dargli la notizia nel modo più cortese possibile.
“Signore, è bello assai che i giovani si interessino alle antiche tradizioni e ancor più che dal suo paese lontano e moderno qualcuno volga lo sguardo verso questo antico Ordine. Tuttavia devo farle notare che esiste un impedimento insormontabile alla sua ammissione. Lei è un uomo. La sua presenza nella Congrega è vietata dalle nostre regole. Mi dispiace. Non è cosa.”
Un brusio intenso sottolineò le parole di Melusina. Poi la vecchia si voltò verso la segretaria che continuava faticosamente a vergare lettere umidicce sulla pergamena e le dettò:
“Non essendoci postulanti in possesso delle caratteristiche prescritte la seduta viene tolta e il Sabba dichiarato concluso al sorgere della luna in questa vigilia di Ognissanti dell’anno…”
“I beg your pardon, Comare Melusina, ma vorrei fare opposizione. Secondo le regole io deve essere esaminato. È scritto nel Regolamento.” Il giovane prese un’aria saputella e recitò: “E tu postulante, una volta presentata la supplica di noviziato non ti sottrarrai alle giuste prove. Non potrai volgere indietro lo piede!”
La Prima Janara rimase silenziosa, frugando rabbiosamente nella memoria. Chi se lo ricordava più il Regolamento? Non c’era mai stato bisogno di consultarlo. Si voltò verso la segretaria e le intimò: “Chiaralu’, caccia ‘stu Regolamento!”
La strega segretaria estrasse un CD-rom da una custodia, subito fulminata dallo sguardo della decana. Si giustificò con un fiume di parole affannate:
“Melusi’, è paro paro a chillo originale, state tranquilla! Ho fatto fare la digitalizzazione completa delle nostre pergamene, così non si devono più toccare gli originali. Me l’ha consigliato l’abate di Montecassino, ha fatto riprodurre pergamene, codici e pure incunaboli e…” esitò, e poiché le sue parole sembravano peggiorare la sua posizione concluse in fretta “…insomma, mi pareva una buona idea.”
Rassegnata, ripose il CD-rom e aprì il cofano polveroso che riposava su un drappo rosso ai piedi di Melusina. Ne estrasse con gran reverenza un’antica pergamena chiusa da un legaccio di cuoio, la aprì e la stese sul tavolo. I suoi occhi scorsero attentamente il manoscritto. Poi scosse la testa e affrontò lo sguardo grifagno della decana.
“Tene ragione isso, Melusi’. È scritto accussì.”
Melusina sembrò ringhiare come un cane alla catena.
“Regolamento o no, non è possibile lo stesso. A parte il problema del sesso, dovrebbe essere presentato da un’altra janara, e nessuna...”
“Io.” La Maestra delle novizie avanzò decisa. Stufa di stare con le mani in mano, ora che aveva una novizia non aveva intenzione di farsela scappare, anche se era maschio.
“Lo presento io. Per me ha diritto a sottoporsi almeno al primo esame.”
“Matteu’, non lo vedi? È n’ommo!”, esclamò esasperata Melusina. “È proibito dalle regole!”
“Questo non è del tutto vero, Melusi’. Nel Regolamento non è scritto da nessuna parte che debba essere femmina.”
John annuì alle parole della Maestra delle novizie e riprese a citare a memoria:
“Non giungerai per la prima volta al sacro noce avendo conosciuto corpo di uomo né portando in grembo un figlio, sarai né bambina né donna. Tu avrai onesta anima, pietoso cuore, coraggiosa mente, ferme mani. Avrai i capelli sciolti, veste senza nodi, lo piede nudo che calca la terra.”
Melusina lo fissò trionfante.
“Sentito? Devi essere femmena. Fanciulla, vergine, non ancora madre… è chiaro!”
“Madam, veramente no. Dice che non si deve avere conosciuto corpo di uomo, e io non ho conosciuto. Che non si deve essere… pregnant…”
“Si dice incinta” lo soccorse premurosa la strega segretaria.
“Right, incinta” si inchinò verso Chiaraluce che gli sorrise materna di rimando “…e io non sono. Che non bisogna essere bambina né donna, e io non sono nessuna di due.”
Una buona metà dell’uditorio cominciava a borbottare in un modo che a Melusina non piaceva proprio. Decise quindi di troncare la discussione.
“Vabbuo’, non c’è scritto perché non c’è bisogno di scriverlo. Le streghe sono femmene, fanno cose da femmene. Far nascere i bambini, distillare pozioni per curare la gente, fare incantesimi per la fecondità dei campi, ogni tanto qualche malocchio. Gli ommini vanno in guerra, si ammazzano tra loro, devastano le terre dei nemici. E non sono sempre stati gli uomini a bruciarci sul rogo? Ora ne vulimme pigliare uno tra noi?”
L’ultimo argomento sembrò scuotere l’uditorio. Molti cappelli si mossero in chiaro segno di assenso.
“Comare Melusina, io non brucerei neppure una bistecca sul barbecue, I’m a vegetarian. E poi queste cose da noi non succede. La mia è la terra di pari opportunità e di diritti civili.”
Melusina gli lanciò un’occhiata torva.
“Chista è bella assaje! E da uno che viene dal paese del più grande rogo di streghe del Nuovo Mondo!”, disse con pesante sarcasmo.
La Maestra delle novizie scosse la testa contrariata.
“Comare Melusina, è ingiusto trattarlo così. Dopotutto chiede solo di essere esaminato. E se non risulta adatto lo scartiamo.”
Melusina tacque, preoccupata dall’apparente innocenza della richiesta. Prese tempo.
“Non capisco, signor Hathorne. Poteva fare domanda presso le Streghe riformate della California. Ammettono l’uso di ingredienti magici surgelati, si trastullano con fiori e cristalli, usano il computer al posto dei libri d’incantesimi…” nel dire ciò lanciò un’occhiata alla segretaria “…insomma, è cchiù facile no?”
“Not that new age shit!”, esclamò il giovane con aria schifata. “Comare Melusina, io vuole essere una strega, una come voi.”
“Cumm’a mme?”, la donna fissò il postulante con uno sguardo che avrebbe squagliato un blocco di ghisa. “Guaglio’, fussi nu poco ricchione?”
“Madam?”, chiese perplesso il giovane, incline a interpretare in senso spregiativo quella parola a lui nuova.
“Melusi’!”, esclamò esasperata la Maestra delle novizie.
“Vabbuò, vabbuò!”, sbuffò seccata la Prima Janara. “Mettiamo la cosa ai voti.” Dardeggiò lo sguardo sulle compagne, lasciando chiaramente trasparire la sua opinione su chi avesse osato votare a favore dell’uomo.
Ma nonostante l’evidente ostilità della decana nell’assemblea serpeggiava una corrente favorevole alle novità. Sia pure di poco, il voto fu a favore del postulante. Fu istituita in fretta una commissione composta dalla decana, dalla Maestra delle novizie e da Amelia, fattucchiera esperta ed equanime in funzione equilibratrice.
John Hathorne di Salem, Massachussets, fu quindi sottoposto alle antiche prove che rivelano l’inclinazione alla stregoneria.
La Maestra delle novizie estrasse la prima prova da un vecchio sacchetto di stoffa molto consunta.
“Filtro d’amore. Esecuzione libera, non importa se distillato, infuso o decotto.”
John andò sul classico. Tra gli strani ingredienti in bella vista sul tavolo scelse con sicurezza una radice fresca di mandragola, sulla quale lavorò con la disinvoltura di un grande chef. Ottenne infine poche gocce di liquore che rinchiuse subito in una boccetta di cristallo, sigillando bene l’apertura con una goccia di cera calda. Chiaraluce prese in consegna l’elaborato d’esame e lo portò alla commissione.
Le streghe esaminarono attentamente il filtro, approvandolo come conforme alla tradizione con due voti su tre. John fu quindi ammesso alla seconda prova. Il sacchetto passò di mano.
“Malocchio” disse Amelia mostrando il nuovo foglietto all’assemblea.
John esitò.
“Comari, sono un po’ incerto…”
Melusina lo guardò con un gelido sorriso.
“Cosa ti confonde, guaglio’?”
“Che intendere con malocchio?”
La decana sogghignò.
“Metterlo o levarlo? It’s not the same.”
L’uditorio ridacchiò. John sapeva il fatto suo. Melusina strinse i pugni livida, le labbra ridotte a una sottile linea bianca nel viso cereo.
Matteuccia confabulò con Amelia, poi le due streghe si accordarono:
“Non sei strega, è più prudente levarlo.”
Il candidato annuì e pose mano senza esitare ad una ciotolina di terracotta che riempì a metà d’acqua. Prese poi un’ampolla di olio d’oliva e ne versò con grande perizia tre gocce nella ciotola. Osservò in che modo le gocce d’olio si disperdevano o si aggregavano galleggiando nell’acqua, poi prese tre pizzichi di sale e li gettò nel liquido cantilenando la prescritta formula.
“Salluzz salluzz, va a mal e va a puzz, va addo a commar, vir ch t dic, e vienmmell a dic.”
Infine, gettò tutto a terra. L’uditorio approvò rumorosamente. A Melusina cadde il cappello.
“Terza prova” annunciò Chiaraluce senza attendere l’ordine della commissione. Fece per prendere il sacchetto ma Melusina glielo strappò e vi inserì la mano ossuta. Frugò un poco, poi consegnò a Chiaraluce il foglietto. La Segretaria lesse sgomenta:
“Volo con la scopa.”
Molte voci si levarono a commentare negativamente quel sorteggio. Matteuccia si alzò, protestando ufficialmente.
“Comari, mi oppongo. Non si può pretendere da un postulante che sappia già usare la scopa: è cosa da streghe diplomate. Anzi, mi chiedo come mai nel sacchetto ci sia anche questa prova. Io proprio non me la ricordo…”
Lasciò in sospeso la frase e guardò fissamente Melusina. Ma ci voleva ben altro per far abbassare lo sguardo alla Prima Janara, che rispose con voce altera.
“Sta scritto accussì, non è vero? E non avete deciso che si deve seguire alla lettera ciò che è scritto? Jamme, guaglio’, vola ‘n coppa all’albero.”
John obbedì. Prese la scopa di saggina che Chiaraluce gli tendeva riluttante e balzò a cavalcioni del manico. Estrasse dalla tasca una scatolina di legno, la aprì e pescò con le dita l’unguento verdastro che vi era contenuto. Lo spalmò su mani e viso e recitò un’altra formula.
“Unguento, unguento, mandame a la noce di Benivento, supra acqua et supra ad vento et supra ad omne maltempo.”
Poi si librò nell’aria e fece un paio di giri intorno alla chioma dell’albero prima di atterrare soddisfatto ai piedi di Melusina, mentre intorno scrosciavano gli applausi. Matteuccia corse incontro al suo novizio e lo abbracciò.
“Bravo, guaglio’! Ora sei una di noi!”
“Ancora no.” La voce di Melusina risuonò come il rintocco di una campana a lutto, troncando di botto le felicitazioni.
“Ma ha passato tutte le prove” obbiettò Chiaraluce.
“Potrebbe aver barato. L’unguento, le formule magiche, queste cose come le ha imparate?”
“Madam, I don’t cheat!”, disse Hathorne, colpito nel suo orgoglio calvinista “Ho studiato! Era tutto sul website della Congrega.”
Melusina sembrò ruggire mentre si girava verso Chiaraluce.
“Dove?”
La poverina quasi svenne.
“Beh, ormai un sito ce l’hanno tutti, mi pareva utile per la divulgazione della nostra secolare tradizione…”
Melusina non la lasciò neppure finire. Tornò sulla sua sedia e si sedette ieratica come un idolo di pietra. Quando parlò la sua voce sembrò nascere dalle viscere della terra stessa.
“È mio privilegio di decana esigere un’altra prova. Che il postulante sia esaminato da un esperto che ne accerti la natura di strega.”
“Ma chi è più esperto di noi, Melusi’? Siamo streghe!”, osservò la Maestra delle novizie.
“Ci vuole un giudice incorruttibile.” I suoi occhi si mossero appena verso la povera Chiaraluce. Tacque, fulminando con lo sguardo l’assemblea e attendendo con teatralità che la tensione raggiungesse il massimo.
“Che sia convocato dall’ombra frate Bernardo Gui, inquisitore e giudice.”
Le streghe balzarono in piedi gridando tutte insieme. Alcune, terrorizzate, inforcarono le scope e volarono via perdendosi nella notte. Le restanti, Matteuccia in testa, si avvicinarono minacciose alla decana.
“Melusì, ma come vi viene in mente? Quello ha già bruciato la metà di noi, nelle vite precedenti! Anche voi siete caduta sotto il suo giudizio!”
“Appunto, Matteu’. E teneva ragione, io infatti strega sono e fui sempre! È competente. Chiaralu’, evocalo!”
Chiaraluce si alzò in piedi tremante, riattizzò il falò, gettò alcune erbe nel calderone rituale e cominciò con voce incerta: “Con la presente io vi invoco e vi evoco, Bernardo Gui, affinché abbiate a comparire dinanzi la stante assemblea sabbatica…”
Prima che potesse andare avanti Melusina balzò in piedi e la spinse da parte insofferente: “Chiaralù, sembri la segretaria di un commercialista! Chista è forse una riunione di condominio? Che figura ci facciamo? È un domenicano, persona colta!”
Senza attendere la risposta avanzò verso il calderone sobbollente e brandendo il bastone cominciò a rimestare il liquido recitando l’antico rituale.
“Frate Bernardo Gui, io vi congiuro e vi abiuro per mezzo della mia autorità” la sua voce divenne imperiosa “Io vi invoco e vi evoco con la forza di queste spezie rare” il vento cominciò a spirare inarrestabile attraverso le fronde del noce “Io vi comando e vi lego con questo bastone dell’Arte. Sorgete dall’ombra, così voglio!”
Dalle volute dense e cangianti che si levavano dal calderone cominciò a scaturire una forma più definita, che assunse infine struttura stabile. Il fumo si dileguò e la luce della luna illuminò un saio bianco e nero.
“Chi osa disturbare il mio riposo? Chi mi strappa al sonno dei giusti?”
La voce era gelida come un cubetto di ghiaccio che scivola lungo la schiena.
“Melusina, Prima Janara di Benevento.”
“Ah, la strega Melusina.” La voce sembrò meno fredda ma più infastidita. “Che vuoi? Quello che ci dovevamo dire è già stato detto prima del rogo. Buonanotte, me ne vado.”
“Non potete, Inquisitore. Io vi evoco, io vi bandisco. Dovete rispondere alle mie domande.”
“Ma solo tre, lo sai. E sbrigati, ho da fare.”
“Cominciamo subito” spinse in malo modo John davanti al calderone “Chisto guaglione vuole essere strega. Ditemi voi, lo è davvero?”
“È un uomo…”, disse pensoso l’Inquisitore.
“Quindi non può essere una strega!”, concluse trionfante Melusina.
“Non è detto. Ho bruciato parecchi uomini per stregoneria” obbiettò l’Inquisitore.
“Erano solo accoliti!”, troncò Melusina innervosita.
L’ombra sembrò stizzirsi
“Lasciatelo dire a me! Ma non perdiamo tempo in chiacchiere. Mettetelo in un sacco pieno di pietre, legatelo bene e gettatelo in acqua. Se non affoga è una strega.”
“Ottimo! C’è un fiume qui vicino!”, approvò Melusina contenta.
“Melusi’, voi vulite pazziare!”, ansimò Matteuccia “Non possiamo fare una cosa del genere!”
“Perché no? È il metodo più antico e certo!”, disse disinvolta la decana.
“Ma noi non siamo come loro, Melusi’…”
“Vabbuò, allora datemi un altro metodo, meno definitivo” chiese torva a Gui.
“A me è sempre piaciuto il fuoco” disse l’Inquisitore. “Preparate un tappeto di carboni ardenti e fatecelo camminare a piedi nudi. Se non si brucia è una strega.”
“Non si può fare, Eccellenza. Siete rimasto indietro. Un sacco di gente cammina sui carboni ardenti, adesso. Lo fanno pure in TV. Non basta.”
L’ombra sembrò rattristata.
“La modernità, che iattura! I malefici non sono più come una volta! È triste.”
Melusina annuì cupa.
“Tenete ragione, Eccellenza, è triste assai. Datemi un ultimo sistema.”
“Cercate il marchio di Satana sul suo corpo.”
“Spogliatelo!”, intimò Melusina.
Quando vide il diavolo rosso tatuato sul braccio sinistro di John, l’Inquisitore quasi saltò fuori dal calderone.
“Ecco la prova! È servo del demonio, ne ha l’effigie sulla pelle!”, tuonò Gui sotto gli occhi allibiti di Melusina, indicando l’emblema della squadra di football dei Red Devils del Dickinson College. “Comare Melusina, quest’uomo è una strega. E ora congedami, ho da fare.”
“Vatténne!”, sibilò Melusina.
“In modo formale” brontolò Gui.
“Bandito sia tu, nemico delle donne, nell’ombra più nera.”
“Grazie. È una questione di principio. Almeno tra noi cerchiamo di conservare le nostre tradizioni. Ormai tutto va in rovina” indicò l’americano portato in trionfo dalle streghe. “Credi che mi faccia piacere? Il nostro mondo svanisce. I giovani non hanno più rispetto.”
“Le tradizioni sono calpestate” deplorò la strega.
“Non ci sono più le mezze stagioni” lamentò l’Inquisitore.
“Non c’è più religione, Bernardo.”
Francesca Garello è archeologa, archivista, scrittrice di racconti e curatrice di molte antologie e progetti nel campo del Fantastico. Dopo essere comparsa come autrice in numerose antologie del Trofeo RiLL (che ha vinto due volte di seguito: nel 2004 con “Rifiuti Speciali” e nel 2005 con “Pari Opportunità”), dal 2016 partecipa spesso all’annuale Mondi Incantati in veste di traduttrice.
Con la casa editrice Homo Scrivens ha pubblicato “L’uomo che volle farsi strega”, antologia che raccoglie diciotto suoi racconti fantastici.
Leggi l'intervista a Francesca Garello realizzata in occasione del trentennale del Trofeo RiLL.