I miracoli di Porta Metronia

di Luigina Sgarro
Secondo classificato al XIII Trofeo RiLL
[racconto presente nell'antologia Schegge di Mondi Incantati, Nexus Editrice, 2007]

Che Mario non andasse più allo stadio la domenica cominciava ad essere un problema - pensò la sora Sabina, trascinandosi dietro il pesante aspirapolvere.
Infatti, da quando gli incidenti si erano fatti più frequenti - la settimana precedente un agente era stato ferito ad una rotula, quella prima ancora c’era stata una pioggia di monetine dalla curva, solo per citare gli ultimi - Mario aveva deciso che il campionato lo avrebbe seguito da casa.
Sabina pensò - con un segreto struggimento - che aveva dovuto dire addio ai pomeriggi in giro per il centro commerciale con sua sorella. E non poteva stare neanche al telefono, perché Mario e Roberto, quando giocava la Maggica, non volevano sentire volare una mosca...
Ma come si faceva a seguire il calcio, oramai? - si chiedeva Sabina. Era chiaro che era tutto un “magna magna” dove, come dicevano a Roma, “il più pulito ha la rogna”.
Era entrata nella stanza di Roberto. Riordinare la stanza di suo figlio il lunedì mattina la faceva sempre pensare alle scene dei film di guerra; per l’esattezza, alla conta dei morti sul campo, a battaglia finita. Cumuli di stracci dappertutto e non sapeva mai quello che ci poteva trovare sotto. Ci poteva essere una piramide di CD, un cavo del computer, un pezzo di pizza ai funghi o una rivista sui cellulari. Una volta o l’altra sapeva che ci avrebbe potuto trovare pure un cristiano.
Dopo mezz’ora la stanza di Roberto aveva già “un’altra faccia”, come diceva lei. Le magliette, i calzini, i calzoncini e le mutande erano stati tutti infilati nella cesta della biancheria sporca o nella lavatrice. Dopo aver passato l’aspirapolvere e lavato i pavimenti a specchio Sabina si tirò su carezzandosi le reni.
Poteva finalmente passare al salone.
Eppure…
Nella stanza di Roberto aleggiava un odore sgradevole, come di stantio, che neanche il detersivo Deofioroso era riuscito ad eliminare. Un lezzo acre, pungente, insinuante, allo stesso tempo familiare ed estraneo. Come di maglia sudata, pensò Sabina, però un po’ diverso.
Sabina ristette un secondo, dubbiosa. La sua ispezione era stata accurata. Aveva disfatto completamente il letto e sbattuto il piumino. Aveva guardato sotto la rete, spazzato sotto la scrivania e sotto gli armadi. Per non parlare poi della conta… già, la conta. Sabina teneva una contabilità ossessiva di magliette, calzini e mutande di tutta la famiglia - e i calcoli tornavano.
Certo, era sempre possibile che uno di quei sozzi amici del figlio si fosse dimenticato un pezzo di biancheria sporco nella stanza. Un amico? Ecchè Roberto era per caso diventato… e no, eh! Suo marito Mario dicesse pure quello che gli pareva, ma lei piuttosto avrebbe preferito un figlio tifoso della Lazio.
Per cercare conforto e allontanare il pensiero di ogni male, levò lo sguardo verso il poster quasi a grandezza naturale di Francesco Totti, che suo figlio aveva messo su di una parete della stanza. Nel quartiere, tra l’altro, si vociferava che, il leggendario capitano della Roma, fosse nato proprio in quella palazzina.
Il fiato le si spezzò in gola nel guardare l’immagine.
La foto del Capitano, ritratto a figura intera, durante un’azione, con la palla che si staccava dal piede di giusto un centimetro, il poster che Roberto aveva amorevolmente incorniciato e coperto con un vetro, completo di autografo del Capitano, pagato “un botto de soldi, a ma’!”, presentava delle macchie.
Sabina si avvicinò alla foto, con le mani intrecciate sotto il mento, in un gesto di muta disperazione.
Gli aloni erano sotto le ascelle e sul davanti della maglia. In corrispondenza delle macchie la carta si era lievemente accartocciata.
Inoltre, Sabina notò con raccapriccio, l’odore, man mano che si avvicinava al quadro, diventava più forte.
“Gesummio!”



Roberto era ammutolito. Il suo amico del cuore, Federico, che si era portato a casa per il pranzo, non sapeva che dire. Quello era il suo quadro. Era il poster che il Capitano aveva autografato. Quello che aveva assistito a tutte le vittorie della Roma sulla PlayStation 2.
“Mamma te lo ricompra. Evidentemente il muro dietro perde…”
Sabina era affranta.
Roberto aiutò il padre a staccare il quadro dal muro. La parete era del tutto pulita. Come se non bastasse, il truciolato dietro la cornice era asciutto ed omogeneo.
“Ma’, ci hai spruzzato il detersivo sopra per lavarla, no?”
“E sì! E mo', secondo te, il detersivo macchia solo lì e lì, e puzza di sudore!”
Fu allora che Federico, l’amico di Roberto che aveva assistito a tutta la scena, scoppiò in una risata fragorosa:
“La Madonna lacrima? E il Capitano suda! Loggico, no?!”
Federico attese che gli altri ridessero. Invece nessuno rise, tutti lo guardarono in silenzio.
“E quindi - incalzò Sabina, passandosi le dita nei capelli mesciati di fresco - sarebbe... ‘na mezza specie de miracolo, secondo te?”
Roberto s’illuminò:
“E perché no? Po’ esse!”
Mario si spazientì.
“A Robbè, nun fa’ lo scemo! E se lo devi fa’ nun annà 'n giro a dì che sei fijo mio! Te compro 'nartro poster, questo lo buttamo e 'a famo finita!”
Roberto divenne paonazzo: Questo poster per il momento non si tocca. E mo’ lasciateme ‘n pace!”
Il sorriso era svanito dalla faccia di Federico.
“Pure io, Robbè?!”
“Pure tu.”
La madre e l’amico del cuore lasciarono la stanza.
Mario guardò il figlio con durezza.
“Ah bello, datte ‘na calmata!… Nun t’appiccico ar muro solo perché so quanto ci tenevi a ‘sto poster e immagino che stai male.”
E andò dietro gli altri sbattendo la porta.
Roberto rimase ipnotizzato a guardare un rivolo di liquido che, dall’articolazione scapolo omerale, sembrava scendere verso il petto del Capitano.
S’inginocchiò davanti all’immagine. Si concentrò sulla partita di Coppa che si teneva il giorno dopo e giunse le mani.
“Oh Capitano, mio Capitano…”



Di lì a qualche tempo si cominciò a parlare di miracoli, nel mondo del calcio, in generale, e della Roma, in particolare. Dapprima piccole cose, che potevano sembrare solo insolite, o improbabili, come l’inconsueta avanzata della Roma nel Campionato e nelle Coppe, o fortuite circostanze che, causando la penalizzazione di squadre avanti alla Roma in classifica, sembrava che, alla fine, le avrebbero consentito di vincere anche lo scudetto.
Le cose più strane accadevano all’Olimpico: come la crescita a Galliani, calvo amministratore delegato del Milan, di una folta capigliatura bionda e riccioluta, cosa che gli consentì di mettersi le mani nei capelli durante un memorabile Roma-Milan, finito 4 a 0. Le molotov lanciate allo stadio Olimpico, esplodendo, si trasformavano in figurine Panini del campionato ’82-83, anno del penultimo scudetto della Roma; gli speaker sportivi, qualunque fosse la loro provenienza, quando commentavano partite della Roma parlavano con un marcato accento romano, per la precisione della Garbatella, per citare solo alcuni tra gli innumerevoli episodi che si registrarono e che contribuirono a nutrire la leggenda.
La voce del “Capitano che Suda” s’era sparsa ormai in tutta la Capitale.



Sabina si affacciò alla porta della stanza del figlio, nel quale campeggiava un televisore al plasma trentadue pollici, solo l’ultimo di una serie di costosi ex voto che erano arrivati a Roberto. L’impianto stereo era vari decibel sopra la soglia del dolore, e la sora Sabina dovette chiamare tre volte prima che suo figlio Roberto si accorgesse della sua presenza ed abbassasse il volume.
“Ah Robbé, ci stanno dei tipi dell’Università.”
Nella stanza entrarono due persone:un uomo sulla quarantina, stempiato e robusto, ed una donna di circa trent’anni, molto magra vestita con un completo grigio, gli occhiali tondi ed i capelli tirati dietro la nuca.
“Buonasera, siamo Giovanni Arceti e Maria Angela Delicati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.”
“Ah! Buonasera, e che..?”
“Lei si domanderà - lo anticipò Maria Angela - il motivo della nostra visita. Ecco, è molto semplice. Noi abbiamo saputo che lei ha…”
Lo sguardo della donna si sollevò verso la parete, dove campeggiava il ritratto di Totti, con una nuova cornice rinforzata, protetta da un vetro antiproiettile, circondata da quello che sembrava essere un sofisticato sistema di allarme dotato di cellule fotoelettriche.
“…un poster che... avrebbe una particolarità…”
“Ah, quello…” Roberto ostentò indifferenza “è un regalo di mio padre. Si trova al Roma Store.”
“Devo correggerla - il Prof. Arceti, docente di Genetica Umana all’Università del Sacro Cuore, intervenne con un sorrisetto - ormai le assicuro che di questi poster non se ne trovano più.”
“È un peccato - rispose il ragazzo, senza scomporsi - è proprio un poster fico.”
“Sì, vediamo che sembra tenerci molto. Anzi molto è un eufemismo…”, incalzò la dottoressa Delicati, assistente alla cattedra di Storia dei Miracoli e della Transustanziazione.
Roberto sorrise ancora.
“Non lo so se è un fumismo. A me piace.”
Maria Angela sorrise, di rimando.
“Non vogliamo farle perdere altro tempo. Vorremmo prelevare un campione del poster per fare delle analisi…”
Roberto inorridì.
“Volete ritaglia’ il campione dal poster? Francesco?... Ma che siete matti?!”
Il professore, compreso l’equivoco, intervenne: “Ma no… Ma per carità! Vogliamo solo prelevare un microscopico pezzettino dal poster per fare una prova. Sa… è una richiesta che viene dall’alto!”
E così dicendo il professor Arceti alzò l’indice verso il cielo.
Roberto rimase spiazzato. Guardò sua madre che per tutto il tempo era rimasta sulla porta, poi guardò il rosario che lei gli lasciava sempre arrotolato alla testata del letto “per proteggerti, core de mamma”.
“Ma un pezzettino solo, eh? E senza bucarlo!”
“Ma si figuri. Signor Roberto, lei potrà stare con noi per tutto il tempo del prelievo e controllare…”
Maria Angela impallidì.
“Giovanni, guarda!”
Un’altra goccia, sottile, scivolava, sulla Lupa in campo giallo, stampata sul petto del Capitano.



“Il signor Francesco Totti si è gentilmente prestato ad effettuare un prelievo.”
Il Cardinale guardava il professor Arceti e la dottoressa Delicati con apprensione.
“E allora?”
“Eminenza, non so che dirle… il DNA coincide… la composizione… insomma. Sembrerebbe essere sudore. E sudore di Francesco Totti!”
“Questo non vuol dire nulla. Il giovane potrebbe esserselo procurato in mille modi. Totti stesso potrebbe essere d’accordo!”
“Ma che gliene verrebbe in tasca?”
“Lei è un ingenuo!”, lo interruppe il Cardinale, sprezzante. “Proventi pubblicitari, no?! Ormai, rispetto a questi, i cachet milionari di un calciatore sono bruscolini…”
Il telefono squillò ed il Cardinale si precipitò a rispondere: aveva chiesto che gli passassero solo una telefonata.
“Oh… Sì, aspetto in linea… Sempre sia lodato…”
Farfugliò quindi qualche frase in latino. Poi si rivolse ai due che lo guardavano attoniti.
“Potete andare. Vi farò sapere se avrò ancora bisogno di voi.”



Intanto i miracoli continuavano. Doni, portiere della Roma, aveva segnato tre volte, di cui una respingendo un tiro dalla sua tre quarti. Nel calcio era cresciuto un alone di misticismo e mistero. Un commentatore televisivo dotato di un’improbabile chioma rosso arancio, che si esprimeva notoriamente in un Italiano approssimativo per sintassi, dizione e fonetica, durante un collegamento con l’Olimpico, dopo l’ennesima incredibile vittoria della Roma, aveva detto: “Qualora si pongano le premesse perché la squadra possa eccellere ulteriormente”, sfoggiando un impressionante accento fiorentino, e da allora gli erano venuti i capelli bianchi e non aveva più sbagliato un congiuntivo. Un noto e raffinato commentatore sportivo, tifoso juventino, era fuggito in Brasile con una giovane promessa del Torino. Molti arbitri avevano confessato corruzioni e malversazioni e si erano ritirati in modesti eremi in remote zone della Valsugana.
Un giorno di aprile, finalmente, Francesco Totti e sua moglie Ilary erano stati in visita al poster miracoloso, seguiti da un codazzo di giornalisti. All’uscita pare che il Pupone, così chiamato affettuosamente dai tifosi giallorossi, avesse detto alla consorte:
“Amo’, ma davero puzzo così?”
Lei aveva sorriso.



La strategia del Cardinale rimaneva ignorare il fenomeno, nonostante le pressioni di parte del clero, che vedeva la possibilità di attrarre nuovi fedeli alla Chiesa, gli striscioni all’Olimpico e i cori “Totti Santo Subito”.
Il telefono squillò di nuovo. Era la voce del suo segretario particolare, appena un soffio.
“Eminenza…”
“Di’ pure, Ermanno.”
“Ecco… Sembrerebbe trattarsi di un nuovo caso. Un poster a grandezza naturale, sempre a figura intera...”
“Sempre a Roma?”
“A Tor Bella Monaca…”
“Sempre Totti?”
“Eminenza… si tratterebbe di un attore, questa volta... e nudo.”
“Un attore? Vivente? Nudo?”
“Sì, Eminenza. Tal…” il segretario si schiarì la voce “…Rocco Siffredi.”
Si trattava di un noto attore di film hard core. Che sapesse o no chi fosse, il Cardinale chiese:
“E… dove si trova il poster?”
“In un sexy shop.”
“E… suda?”
Seguì un istante di silenzio.
“Non esattamente, Eminenza. Non esattamente.”



Luigina Sgarro, detta Ginny, è nata a Rutigliano, in provincia di Bari, ma vive a Roma dal 1995.
Psicologa e psicoterapeuta, ha per lo più lavorato per grandi aziende, come manager delle risorse umane e come consulente. Attualmente si occupa di sviluppo organizzativo e strumenti di crescita e orientamento personale.
Ama le buone letture , la fotografia e il cinema.
Ha partecipato a molti concorsi letterari, arrivando spesso in finale (e talvolta vincendoli). Suoi racconti sono presenti in numerose antologie, di svariati editori. Inoltre è coautrice di due saggi sugli strumenti creativi per i momenti di transizione.
Si è classificata al secondo posto al XIII Trofeo RiLL con “I miracoli di Porta Metronia”; è stata fra i vincitori di SFIDA, altro concorso bandito da RiLL, nel 2011 (con “Il Segreto”) e nel 2012 (con "Anni Luce" e "Il segreto di Ulisse").



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