Tutto ciò che è maschile mi indigna, tutto ciò che è femminile mi dà speranza...

Intervista a Valerio Evangelisti
di Alberto Cola
[pubblicato su RiLL.it nell'aprile 2006]


Nel 1994 hai esordito sulle pagine di Urania. Se provi a gettare uno sguardo indietro, che Evangelisti vedi rispetto a quello odierno?

Oggi ho acquisito maggiore professionalità, è chiaro, e dimestichezza con tutti gli strumenti del narrare. Dal lato personale, però, non credo di essere cambiato molto. Semmai, sono divenuto più solitario.

Hai sempre messo Lovecraft come primo nella lista degli autori che ti hanno influenzato, soprattutto, e non solo, per la sua visionarietà apocalittica.
Permettimi di dire che da questo punto di vista anche tu non scherzi. Ma il futuro davvero lo immagini così?

Spero che il futuro non somigli a quello che descrivo ma certamente non sono un ottimista. Del resto, proietto nell'avvenire frammenti del presente, amplificandoli ma di poco. Guerre immotivate, combattute senza traccia di ideali; psicopatologie che dilagano e investono società intere, ecc.
Io non sono tra quanti credono che l'essere umano sia per sua natura buono. Credo invece in una sua sostanza di predatore, tenuta a freno dalle regole del vivere in società. Quando quelle regole cadono, può accadere tutto il peggio.

Oggi i generi letterari, ammesso si possano definire ancora così, sono sempre più sfumati. Si attinge linfa vitale ovunque, eppure c'è ancora chi fa esorcismi solo a sentir parlare di "contaminazione". Ma è davvero questo gran diavolo, o è destinata a salvarci, a noi autori di genere?

Tanti generi sono morti nella loro versione pura: le avventure di pirati, il western, il feuilleton. Persino il giallo viene lentamente soppiantato dal più complesso noir. Alla fin fine, contaminarsi è l'unico modo di sopravvivere. Secondo me, questo vale anche per il genere più nobile di tutti, la fantascienza, che più di ogni altro ha impregnato la società in tutte le sue espressioni mediatiche. Ha perfino donato troppo, tanto che sotto il profilo letterario è in crisi seria. Dovrebbe avvalersi, a mio giudizio, della sua opposta qualità contaminante, cioè della sua indiscussa superiorità intellettuale, che si è imposta alle punte emergenti della letteratura odierna.

Per come ti conosco, non riesco a immaginarti come ex funzionario del Ministero delle Finanze. Dopo aver letto di fatto tutta la tua produzione, ancora sto qui a chiedermi come tu facessi a comprimere le pulsioni letterarie e tutto quel che sentivi di dover/ voler dire con un lavoro simile...

Il grande vantaggio di quel lavoro era che, a quei tempi, si usciva alle 14!
Comunque non era l'attività banale che si può pensare. Per anni, il mio incarico fu di vagliare i ricorsi di chi subiva pignoramenti, fino a scrivere vere e proprie sentenze. In seguito, diventai capo del personale per l'Emilia-Romagna e per le Marche, incaricato delle contrattazioni sindacali. Non rimpiango quel periodo, ma nemmeno lo considero brutto o noioso. Anzi, facevo il mio lavoro con un certo entusiasmo.

Hai detto altrove che la Fantascienza negli anni '90 aveva alzato la testa. Quell'usare il tempo al passato mi fa capire che la tua idea riguardo all'oggi è cambiata.

Purtroppo sì. Ci sono stati anni in cui i migliori romanzi di fantascienza italiani vendevano anche più di quelli anglosassoni, e venivano immediatamente tradotti in tutta Europa. A parte il caso mio, che è un po' peculiare, posso citare quelli di Luca Masali, di Franco Ricciardiello, di Nicoletta Vallorani, ecc. Poi, visto il trend, si sono cominciati a pubblicare italiani senza riguardo per la qualità, e ciò proprio nel momento in cui si avvicinava la crisi della fantascienza in genere. Il "boom" degli anni '90, peraltro fragile e tutto da coltivare, si è spento in fretta.
Temo che siamo regrediti a situazioni precedenti, in cui, per pubblicare, gli autori italiani devono presentarsi con pseudonimo straniero, oppure ricorrere alle case editrici che vendono solo per corrispondenza.

In quattro righe, cos'è che ti indigna e cosa invece ti dà speranza.

Ti riferisci al mondo in generale? Ti risponderò con una frase enigmatica, che va interpretata. Tutto ciò che è maschile mi indigna, tutto ciò che è femminile mi dà speranza.

Sempre più spesso mi capita di leggere storie mainstream che dipingono una realtà, tanto per usare un eufemismo, un po' rosea. E di regola viene definita letteratura "alta". Per contro, sembra che l'autore di fantascienza abbia sì voglia di immergersi nel futuro, ma sempre avendo ben in mente una visione critica del suo presente.
Secondo te, cos'è che distingue questa tipologia di autore dagli altri?

Mio padre aveva il grosso Dizionario Enciclopedico Utet, in parecchi volumi.
La voce "fantascienza" faceva acqua da tutte le parti, però enunciava una verità: "la fantascienza è l'unico genere letterario che abbia avuto il coraggio di abolire il lieto fine". Io aggiungerei "quasi sistematicamente".
Si tratta di una forma narrativa per sua natura problematica e non consolatoria (parlo ovviamente degli esempi migliori), in cui, fin dalla genesi, si sono esercitati fior di filosofi e di moralisti: H.G. Wells, C.S. Lewis, Olaf Stapledon, ecc. Quasi costretti, poiché il futuro non lo conosce nessuno, a trasferirvi le contraddizioni dell'oggi, ovviamente irrisolte.
Lo scrittore mainstream raramente subisce la stessa costrizione.

Da questo 2006 sei di nuovo giurato al premio RiLL, dopo le prime edizioni e qualche anno di pausa. Devi il tuo successo al premio Urania, e allora verrebbe da dire che i premi servono realmente a qualcosa. Lo consideri davvero un efficace primo passo?

Visto che in Italia, normalmente, gli editori scaricano direttamente nel cestino i lavori spediti dagli esordienti, vincere un premio è quasi l'unica via per la pubblicazione. Poi la vittoria non risolve tutti i problemi (anzi, ne apre di nuovi), ma dà quel minimo di visibilità necessario a indurre a riprovarci.

La foto presente in questo articolo, di Michele Corleone, è tratta dal sito ufficiale di Valerio Evangelisti.

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