Giocare e Raccontare

Gioco e scrittura collettiva
di Beniamino Sidoti
[pubblicato su RiLL.it nell'aprile 2004]


Mi occupo di giochi da molti anni; e da altrettanti di scrittura, in modo diverso. Per me le due cose sono sempre state naturalmente vicine: come la musica e il ballo, per dire.

Poi, crescendo, mi sono accorto che questa vicinanza non era così banale: era naturale per molta gente, come i giocatori di ruolo. Ma non era banale. Il gioco, in particolare il gioco di ruolo, fa parte di un grande movimento che sta cambiando lentamente il modo di produrre e di fruire letteratura: sta cambiando il modo in cui leggiamo e scriviamo, facendole diventare sempre più due cose intrecciate, legate, due movimenti della stessa danza. Lo scopre chi analizza le strategie dei consumatori di media, come ha teorizzato Michel de Certeau ne L’invenzione del quotidiano (Edizioni Lavoro) e poi ha fatto per esempio Henry Jenkins in un bel libro chiamato Textual poachers (Routledge).

Io ho provato a studiare questi mobili confini attraverso un oggetto ibrido e strano, di grande attualità: le scritture collettive, cioè i modi, strumenti e metodi per scrivere qualcosa a più mani. Su questo argomento ho scritto la mia tesi di laurea in Scienze della Comunicazione.

La scrittura collettiva mette silenziosamente in crisi molti dei miti che riguardano la scrittura. La scrittura collettiva è una modalità di produzione sempre più diffusa, assolutamente naturale, e per questo in grado di contrastare alcune idee scontate e sbagliate che abbiamo dello scrivere.
Per esempio, la solitudine dello scrittore; per esempio che si scriva anzitutto per se stessi; per esempio che la scrittura sia sofferenza.
Questi miti sono legati a un’idea romantica dello scrittore, legata a un mondo molto diverso da quello attuale. Gli ultimi anni di progresso tecnologico hanno offerto e imposto nuovi modi di lavorare, nuove tecnologie, nuove idee dell’individuo e dell’intelligenza. Scrivere insieme ad altri è un fatto naturale, oggi: almeno quanto lo è scrivere su una tastiera. Lo scrittore è ancora, se lo vuole, solo, sofferente, e rivolto essenzialmente a se stesso; più spesso però si scrive, scriviamo, in tanti, mettendo insieme piccoli frammenti in affreschi collettivi, collaborando, giocando, lavorando a progetti a firma multipla.

Ci sono tanti modi di portare avanti una scrittura collettiva: perché la scrittura è un processo complesso in cui si può intervenire in maniera diversa in fasi diverse. Gli psicologi della scrittura (di Bereiter e Scardamalia, per chi cerca i riferimenti bibliografici, è stato tradotto qualche anno fa dalla Nuova Italia un libro molto esauriente) parlano di quattro fasi salienti: la ricerca delle idee, la pianificazione, la stesura, la revisione.
A grandi linee, e giusto per capire di cosa stiamo parlando, quando vogliamo scrivere qualcosa cerchiamo anzitutto informazioni sul nostro soggetto, poi buttiamo giù una bozza di scaletta, quindi scriviamo e poi rileggiamo il testo. Certe fasi possono rimanere implicite (per esempio, colto da ispirazione, so già cosa voglio scrivere, e non ho bisogno di cercare nuove idee; oppure non riguardo il testo e premo il tasto invia); più spesso, certe fasi possono essere iterate (mentre scrivevo il primo paragrafo mi sono reso conto che non mi ricordavo il titolo del libro di Jenkins, ho quindi spulciato nei miei appunti, ritornando indietro alla fase di ricerca, e poi ho ripreso la stesura).

Ognuna di queste fasi può essere collettivizzata: vale a dire, può essere fatta in più di uno.
Per esempio scrivendo questo articolo so che inevitabilmente il Panicucci lo riguarderà e vi aggiungerà delle NdP (note del Panicucci) (no, del PaniK, per la precisione!, NdP). In qualche modo, e per fortuna, questo scritto sarà diventato un’opera anche collettiva: avremo condiviso la revisione del testo. Provo a dare qualche altro esempio: se volete, potete saltare i prossimi quattro paragrafi e andare direttamente dove si parla di giochi.

Esempi di scritture collettive
Una delle pratiche più comuni che ho incontrato riguarda la collettivizzazione della prima fase, quella di ricerca delle idee. L’esempio più diffuso è quello del brainstorming: prima di scrivere qualsiasi cosa ci si mette intorno a un tavolo, un telefono o un computer connesso a internet e se ne parla, scambiandosi idee e prendendo appunti. Poi si mettono insieme gli appunti di tutti e qualcuno prova a cavarci il capo.

Un lavoro simile fa un qualsiasi editore quando pianifica un’opera collettiva: per esempio i RiLLini decidono di dedicare una serie di articoli alla scrittura e chiedono aiuto, gentilmente obbligando amici e colleghi a scrivere dei contributi. In questo caso è la pianificazione che diventa collettiva: si decidono quali saranno gli argomenti da trattare insieme ai singoli e si distribuiscono. Una volta fatta insieme la scaletta, ognuno farà il proprio percorso personale, in modo da avere contemporaneamente tante opere individuali e un unico testo collettivo.

La stesura diventa collettiva quando decidiamo di scrivere un’opera a staffetta: io ne scrivo un pezzo, poi qualcuno continua. O quando partecipiamo a un forum: l’insieme dei contributi dà un’opera collettiva di cui, a ben vedere, non si sono condivise pianificazione, revisione o ricerca delle idee.

Infine, posso condividere la revisione chiedendo a qualcuno di aiutarmi a correggere eventuali errori e a migliorare il mio testo: è la tecnologia dell’open source. Se ho scritto qualcosa di sbagliato, vi prego di correggermi, di trovare il bug e migliorare così, tutti insieme, quello che ho fatto.

Ricomincio a parlare di giochi
I giochi di narrazione sono a loro volta delle scritture collettive: i cadaveri squisiti (le carte piegate, quel gioco dove ognuno scrive qualcosa su un foglio ignorando cosa hanno scritto gli altri, seguendo una regola comune, per poi leggere dei non sensi divertenti) sono un esempio di gioco di narrazione in cui c’è una pianificazione comune (la regola) che poi viene svolta raccogliendo i pezzi in modo casuale.

Once upon a time, il gioco di carte della Atlas Games tradotto in Italia da Unicorn, prevede una stesura collettiva, in cui tutti contribuiscono allo svolgersi della storia.
Nel Gioco di ruolo del Barone di Münchausen, chi racconta deve elaborare un’idea ricevuta da un altro giocatore, condividendo così la fase di ricerca delle idee (“Ci racconti, signor Barone, di quella volta che ha fatto saltare il 25 dicembre usando una testa di capodoglio…”) e in parte quella della stesura.
In On Stage! si pianifica scena per scena, a turno, alternandosi per mezzo di un’asta.
Pathos ha generato infinite revisioni individuali rispetto a una storia collettiva, attraverso una serie di racconti dal punto di vista dei personaggi coinvolti, raccolti come epifanie. Eccetera.

La maggior parte dei giochi di narrazione, però, condivide le fasi di stesura e di ricerca delle idee, mentre la pianificazione e la revisione sono poco affrontate.

I giochi che più si avvicinano a queste fasi nascono nell’ambito del Flying Circus di cui parla Lorenzo Trenti nel suo articolo, sempre qui nel sito di RiLL. Sono L’Elenco telefonico di Uqbar per la pianificazione e Sì, oscuro signore! per la revisione.

L’elenco telefonico di Uqbar è una grande scrittura collettiva in forma enciclopedica: ogni scrittore può aggiungere una voce dell’enciclopedia di un immaginario continente perduto, conservando e sviluppando i frammenti contenuti nelle altre voci (per inciso, questo gioco ha vinto la seconda edizione del Premio Scrittura Mutante della Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese e della Regione Piemonte, conclusasi alla Fiera del Libro di Torino 2004, NdP).
In Sì, oscuro signore!, gioco di carte di narrazione, i servi del male tornano dal loro padrone dopo che il bene ha trionfato ancora una volta: il loro signore ha bisogno di punire qualcuno per il fallimento della missione, e chiede loro cosa non ha funzionato, stavolta… i giocatori cercando di spiegare come sono andate le cose incolpando gli altri e cercando di sfuggire allo sguardo dell’Oscuro. La revisione non avviene durante il gioco (ma ci si potrebbe lavorare…), ma è il pretesto del gioco: cosa succede quando rileggiamo una storia fantasy dal punto di vista di quei lavoratori sottopagati che sono i goblin?

C’è quindi ancora molto da lavorare su queste due fasi, dal punto di vista dei giochi.

Ma, in fin dei conti, è abbastanza naturale che pianificazione e revisione siano state trascurate: sono fasi tipiche della cultura scritta, difficili cioè da ritrovarsi in una produzione orale: e poiché la maggior parte dei giochi di narrazione viene praticata ad alta voce, è facile che si condivida anzitutto la stesura, cioè l’aspetto più “performativo” della narrazione, come nei giochi di ruolo.
Ottimo: abbiamo ancora intere miniere da esplorare.

In conclusione...
Il gioco di narrazione, quando si intreccia con la scrittura, offre nuove, insperate, risorse: perché il gioco è di sua natura un fatto collettivo, che si fa attraverso l’interazione fra pensieri e obiettivi diversi.
Inoltre il gioco offre una sua matrice di regole che consentono esperimenti molto puntuali sui modi di scrivere insieme. Giocando, infatti, possiamo scoprire che ci sono tanti modi di condividere una certa fase del processo di scrittura, e che ognuno di questi può produrre infinite forme di scrittura. La letteratura interattiva, infatti, trova nel gioco il suo ambiente naturale: perché il gioco può insegnare un’infinità doppia di modi di creare testi insieme. Inoltre, è più facile inventare un nuovo gioco che imporre un nuovo esperimento di scrittura; i giochi stanno cambiando rapidamente, con il cambiamento di una società che pone sempre maggiore attenzione a diverse forme di scrittura, a modi diffusi di condivisione del sapere.
Il gioco, insomma, è il luogo dove si esprimono le più interessanti potenzialità dei soggetti collettivi.

Credo quindi che gli appassionati di giochi possano contribuire in maniera forte a questo grande laboratorio di idee che sta producendo sempre nuove scritture collettive. Anzitutto inventando nuovi giochi, o adattando vecchi giochi a nuove forme di scritture; oppure trasformando dei giochi in regole astratte, che possano produrre letterature interattive di tipi molto diversi.
Perché lo scrittore non è più solo, e ha bisogno di qualcuno che suggerisca modi nuovi di scrivere, ha bisogno di qualcuno con cui scrivere. Perché chi lo fa può scoprire che è divertente. E perché si scrive sempre per se stessi, ma ancora più sempre (è una nuova misura temporale) si scrive per gli altri, per produrre nuove idee, per incontrare nostri simili, per provarsi in altri panni, per giocare.

Beniamino Sidoti, oltre ad essere un esperto di scrittura collettiva e creativa, giurato del Trofeo RiLL, ideatore di Lucca Games e molto altro ancora, è anche una persona disponibile al confronto: se questo articolo vi ha incuriosito, potete scrivergli, e parlarne ancora con lui.

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