Giocare Scrivendo e Scrivere Giocando

La narrazione: modalità, significati, forme... un intervento provocatorio e stimolante sul legame col gioco di ruolo
di Luca Giuliano
[pubblicato su RiLL.it nell'aprile 2004]


C'è la pessima abitudine da parte di coloro che si occupano più o meno professionalmente di letteratura a considerare la scrittura come il punto di arrivo di una nobile espressione artistica che dovrebbe condurre l'autore a cingere il capo con il serto d'alloro come Petrarca e Foscolo.
Questo purtroppo succede anche tra coloro che coltivano la passione per la letteratura "fantastica".
Ricordo un bellissimo intervento di Valerio Evangelisti a Lucca Games il 20 marzo 1999, in cui stigmatizzava proprio questa tendenza dell'autore italiano di letteratura fantastica (lui si riferiva soprattutto alla fantascienza) a scrivere il romanzo “definitivo” con cui sarebbe entrato finalmente tra i grandi come Alessandro Manzoni, magari con annessa lettura obbligatoria nelle scuole. Il risultato purtroppo è sempre stato lo stesso: opere noiosissime, pochissimo apprezzate in Italia e per nulla all'estero.
Valerio Evangelisti, invece, ha sempre ammesso di aver voluto scrivere dei romanzi che piacessero al pubblico, che lo facessero divertire, senza porsi degli obiettivi di alto valore letterario. Risultato: Valerio Evangelisti è stato il primo autore italiano di letteratura fantastica ad essere apprezzato al di fuori dei confini nazionali, il suo successo è ormai riconosciuto e i suoi ultimi romanzi non sono più classificabili soltanto come letteratura di genere.

Morale: giocare scrivendo (e soprattutto giocare leggendo), salvo rare eccezioni, è meglio che scrivere sotto la diretta ispirazione delle Muse.

Al contrario la letteratura interattiva, dal mio punto di vista, è una letteratura in cui si scrive giocando. Qualcuno potrebbe credere che alcuni degli esperimenti da me condotti attraverso i giochi di ruolo (come Pathos) volessero spingere i giocatori a scrivere per diventare Autori con la A maiuscola.
In Italia (è cosa nota tra gli editori e gli esperti) si è sempre detto che ci sono più scrittori e poeti che non lettori. Pertanto, se la missione del gioco di ruolo fosse quella di condurre i giocatori a scrivere (nel senso “aulico” di cui sopra), la mia sarebbe una vera e propria istigazione a delinquere.

Quello che gli editori si dimenticano di dire è che questi sedicenti scrittori che sommergono di manoscritti le loro scrivanie sono destinati al fallimento perché si propongono come obiettivo di diventare degli Umberto Eco con ispirazione a go-go. Non parliamo poi della poesia, che vive di sorte ancor peggiore. Infatti la "forma" del linguaggio poetico (breve ed evocativa di immagini) invita a scrivere "di getto", quando invece qualsiasi poeta serio afferma che la sua costruzione del verso (in rima o non in rima) richiede un lungo lavoro sulla parola e sulla fonetica, un’attività che è ben lontana dall'essere il frutto di una "possessione" artistica.

Evidentemente si confondono piani molto diversi di uso del termine “letteratura”, che vanno dalla letteratura come forma della comunicazione estetica alla letteratura come espressione narrativa e come costruzione dell'identità.

Tutti noi siamo dei narratori. La narrazione fa parte della nostra vita. Noi ci raccontiamo nel momento stesso in cui costruiamo la rete della nostra memoria e diamo vita ai personaggi che si affollano nella nostra mente, sia da svegli che nel sogno. Solo alcuni di questi personaggi coincidono in qualche misura con le narrazioni degli altri che ci circondano.
In ogni caso, io devo dare per scontato che il personaggio del mio amico Alberto, che io ho creato nella mia vita-narrazione personale, a sua volta ha creato il personaggio Luca nella sua, e ciò che io penso di me stesso è - almeno per qualche aspetto - abbastanza simile a quello che Alberto pensa di me.

La maggior parte delle persone si accontenta di questa forma di narrazione reciproca nella quale viene intessuta la trama sociale e poi affida ad altri il compito di riempire la vita con altre narrazioni che non impegnano questa reciprocità.

La reciprocità (quella tra il personaggio Luca e il personaggio Alberto) è piacevole ma ha anche dei costi. Spesso ci costringe a metterci in discussione, ad essere critici con noi stessi, ad ammettere di essere incompleti. Qualche volta ci sottopone alla fatica di una sovraesposizione dell'intimità, altre volte ci costringe a dover ammettere che noi non ci vediamo così come gli altri ci vedono, oppure a dover accettare la convivenza di "mondi narrativi" che non coincidono.
Qui il discorso si fa complesso. Diciamo brevemente che il mondo narrativo di Alberto e Luca sono abbastanza coerenti. Entrambi vivono all'interno della stessa storia. Quelli di Luca, di Bush e di Bin Laden invece non coincidono affatto. I personaggi di Bush e di Bin Laden infestano gli incubi diurni di Luca mentre il personaggio Luca nel mondo narrativo di Bush e Bin Laden non esiste nemmeno, non ha neanche il ruolo di comparsa: forse è una figurina piccola dipinta sul fondale di scena.
Eppure Luca, suo malgrado, deve accettare la narrazione di Bush e Bin Laden, magari associarsi ad altri per cambiarne gli esiti, perché i loro tre mondi narrativi convivono anche se non coincidono, anche se non sono condivisi consensualmente (nemmeno quelli di Bin Laden e Bush, purtroppo).

Le narrazioni che non impegnano la reciprocità sono quelle degli scrittori professionisti (ma anche dei pittori, dei musicisti, degli artisti in genere), ma soprattutto, per gran parte della gente, sono le narrazioni dei presentatori televisivi, degli attori del cinema, dei personaggi di Beautiful ecc. Questi sono i "mandatari della massa".
Questi “attori” hanno ricevuto da molte persone una delega, in gran parte incondizionata, a vivere in mondi narrativi e in trame cui loro non sarà mai concesso di partecipare. I mandatari vivono per procura le vite, i personaggi, le identità molteplici cui le persone sono costrette a rinunciare nella loro “normalità” quotidiana. E’ così che vengono generate le narrazioni di massa, quelle in cui molti si riconoscono perché sono state incorporate nella memoria come se fossero storie autenticamente vissute.

La narrazione è una forma di nutrimento. Qualcosa di cui, dalla notte dei tempi, sembra che l'uomo non possa fare a meno. E' quello che ha spinto un anonimo pittore del paleolitico a tracciare la storia della caccia al bisonte sulle pareti delle grotte di Lascaux. Oggi la creazione di “credenze secondarie” (molto più totalizzanti di quelle esclusivamente estetiche di cui scriveva Tolkien) è opera soprattutto della televisione. Infatti è in questa forma di soggezione al tele-totem che alcuni esagerano nel delegare ad altri il bisogno di narrazione, finendo per diventare facili prede di inganni e menzogne, da quelle politiche a quelle economiche (lascio a voi trovare gli esempi, che sono numerosissimi).

Cosa c'entra il gioco di ruolo?
E' qui che vengo al punto.

Il gioco di ruolo non è ancillare rispetto alla letteratura. Per niente.
Il gioco di ruolo è letteratura interattiva.
Non perché gioca con i materiali letterari. E' letteratura interattiva perché crea tessuti narrativi in cui tutti partecipano collaborando come autori, lettori, attori, personaggi ecc. Non importa se diventa scrittura o meno. La scrittura è un mero accidente.

La scrittura è apparsa solo in tempi molto recenti della storia dell'umanità. La scrittura è stata prima di tutto un modo per cristallizzare la memoria orale e permetterne la decontestualizzazione. Per passare dall'io parlo e tu ascolti, all'io parlo oggi (scrivendo) e tu ascolti domani (leggendo).
Il gioco di ruolo è la risposta evoluta, nata nelle società della scrittura, al bisogno di narrazione condivisa. Non può e non potrà mai essere un fenomeno di massa, perché è dominato dalla reciprocità, però è un fenomeno culturale significativo che può avere anche dei riflessi positivi nel processo educativo, nell'apprendimento culturale e nei processi di socializzazione in generale.

Quello che conta è che il gioco di ruolo (e affini) permette il nutrimento della narrazione. Permette di far vivere la molteplicità che è dentro di noi. Ci arricchisce senza sottrarre nulla agli altri. Ci fa comunicare e nel comunicare ci manifesta la necessità di negoziare l’immaginazione e la nostra storia.
La scrittura nel gioco di ruolo, quando si produce come tale e assume anche forma letteraria, è sempre uno “scrivere giocando”, un modo per esprimere la creatività, per comunicare con gli altri, per condividere emozioni.


Nel 2006 è uscito il saggio “Il teatro della mente - Giochi di ruolo e narrazione ipertestuale” (ed. Guerini e Associati), curato proprio da Luca Giuliano, che riprende e approfondisce molti temi toccati in questo intervento. Potete leggere un'intervista a Luca Giuliano su questo saggio in un'altra pagina del sito.


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