IL FUNZIONARIO e altri racconti...: la parola agli autori

Intervista agli autori del Trofeo RiLL e di SFIDA pubblicati nell'antologia Il Funzionario e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni
di Alberto Panicucci
[pubblicato su RiLL.it nel gennaio 2012]

La cerimonia di premiazione del XVII Trofeo RiLL si è svolta lo scorso 29 ottobre a Lucca Comics & Games, ed è stata anche l’occasione per presentare l’antologia Il Funzionario e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni, tributando così il giusto applauso ai dieci autori premiati e pubblicati.
Per chi non ci fosse stato, o comunque volesse saperne di più, proponiamo adesso un’intervista collettiva a questi “nostri” dieci autori, per introdurre brevemente ciascuno dei loro lavori.

Un’intervista on line che è tradizione dal 2008… e quindi un appuntamento che non vogliamo mancare nemmeno quest’anno!

La parola spetta, per primi, ai quattro autori premiati al termine del XVII Trofeo RiLL: Massimiliano Malerba, Matteo Doglio, Antonella Mecenero e Andrea Galla (in rigoroso ordine di posizione finale).

Il Funzionario è il testo vincitore del XVII Trofeo RiLL, nonché quello che dà il titolo all’intera antologia. Un racconto di fantascienza che è una specie di dialogo filosofico: un alieno (predatore) e un umano (preda) discutono del concetto di Giustizia, della sua soggettività e relatività, sino all’inquietante finale. Un soggetto decisamente originale, e anche abbastanza lontano dai canoni del genere…. Ecco come lo presenta Massimiliano Malerba:

Il Funzionario nasce da un incubo, dei tempi dell’università. Un alieno, in tutto simile a me tranne che per gli enormi denti, bussa alla mia porta e mi dice che deve divorarmi: è la sua natura. Allora scopro che ognuno di noi è assegnato a uno di loro da un vincolo unico, profondo. Lui si scusa, ma deve mangiarmi, perché la natura non si può cambiare.
Ricordo che quel sogno vivido mi turbò per molti giorni. Poi, un paio di anni fa, parlando con un amico del concetto di Giustizia, quel sogno mi tornò in mente.
Cos’è la Giustizia? Come ogni costrutto umano, è puramente fittizia, è un concetto “egometrico”. I valori umani sono validi finché si misurano con l’Uomo, direbbe Protagora; ma non esistono come entità a se stanti. Nel freddo cosmo, ma anche nella natura animale, non si riscontrano; anzi, non hanno ragione di esistere. La Natura se ne frega degli esseri umani. Volevo parlare di questo nel mio racconto.
Mi piace l’idea di un universo privo di giustizia, di determinismo, di “teoremi deducibili”, come li chiama il protagonista alieno. Mi affascina la convinzione che il cosmo sia, nella sua interezza, una distesa vasta e gelida, solcata dall’assenza totale di qualsiasi fede o principio precostituito. È un posto freddo, immenso, vuoto, dove gli esseri si incontrano, si usano, si mangiano, senza nessuna ragione, se non perpetrare quel breve lampo che è la vita stessa, presi da una maniacale quanto inspiegabile brama di sopravvivenza.”

Per questo, sempre a Lucca, parlando con alcuni nostri giurati hai detto che il tuo è, in certo senso, un racconto “a tesi”?

“La tesi di cui parlavo è la convinzione profonda che ho che nessun essere ha scampo e che è inutile cercare appigli e conforto nell’Esistenza, vestendola di significati, chiedendole di farci da genitore, e implorando di proteggerci mentre aspettiamo che “venga la sera”. Naturalmente, il racconto vuole anche essere un science-fiction noir che si legge infischiandosene completamente di ogni teorema o tesi. Un modestissimo tributo ai miei autori preferiti: il più gotico Bradbury, l’inquietante Buzzati, lo spaventoso Matheson.”

Con La scintilla della Vita, secondo classificato, restiamo nell’ambito della fantascienza, con un altro racconto basato su due soli personaggi, che ruota intorno all’interrogatorio di un robot (presunto colpevole) da parte di un inquirente (umano).
Il vero protagonista della storia, però, è Roger, il robot… e questo fa subito venire alla mente i racconti del grande Isaac Asimov. C’è, però, qualcosa di diverso, di più…
Ce lo spiega l’autore, Matteo Doglio:

“Per La scintilla della Vita non avevo riflettuto molto, al principio: la storia è stata un’intuizione, che ha richiesto non più di due giorni di stesura. Solo dopo ho cercato di approfondire i temi che erano saltati fuori inconsciamente dalla mia testa.
Il racconto è di ben evidente ispirazione asimoviana, anche per lo stile. Le analogie con Asimov però si fermano alla sola presenza del robot come protagonista: ho cercato infatti di creare un robot che non fosse basato sulle tre Leggi della Robotica che tutti siamo abituati ormai a conoscere. Un robot che non partisse già con comportamento di tipo umano, anche se limitato dalle tre Leggi e dalla logica.
Così sono arrivato al punto, al problema: cosa potrebbe comportare per un robot l’improvviso e inaspettato risvegliarsi della coscienza? Un’anima che si presenta di colpo, e alla quale il robot non è preparato, perché non ha precedenti a cui ispirarsi. Eccolo quindi che si trova a dover trovare una scala di valori, e prima di tutto comprendere e imparare cos’è un Valore!
Il racconto parla di una situazione limite, di sopravvivenza, nella quale il robot viene gettato con questo nuovo senso dell’esistenza, questa coscienza della Vita e della sua preziosità…”

I primi due classificati del XVII Trofeo RiLL sono racconti di genere fantascientifico, seppur caratterizzati da soggetti e visioni decisamente lontani.
La locanda dell’ippogrifo, sul terzo gradino del podio, è invece una storia fantasy. Un testo che colpisce subito per la capacità dell’autrice, Antonella Mecenero, di giocare coi cliché del genere (il gruppo di avventurieri, il drago, il tesoro…) con una narrazione dal tono lieve, ironico, quasi “affettuoso” verso tutto quel che ognuno si aspetta in una storia fantasy.
Complimenti davvero, Antonella (nella foto ritratta con Sergio Valzania, che la premia)…

“Sono cresciuta immersa nella Fantasy. Avevo nove anni quando l’oratorio del paese propose come tema del campo estivo Il Signore degli Anelli. Nessuno ne aveva sentito parlare, era il 1989, un’era precedente ai film, ad Harry Potter, quando il fantasy non era neppure considerato eccentrico, era del tutto sconosciuto al grande pubblico.
Il bar dell’oratorio divenne presto “Il puledro impennato” e tutti i ragazzini, invece della solita maglietta, avevano un “manto elfico” con cappuccio. Ogni giorno, all’inizio delle attività, gli animatori leggevano qualche pagina del libro, da cui traevano ispirazione per giochi a tema, ma, ovviamente, in quelle tre settimane arrivammo appena a Moria. La libreria del paese ne fu felice, dato che non aveva mai ricevuto tanti ordini di libri…



A tredici anni ero già una giocatrice di ruolo. Non ho mai smesso di giocare di ruolo. Molti amici li ho conosciuti così, e così pure mio marito. Inevitabilmente, quando ho iniziato a scrivere, ho iniziato a scrivere fantasy. Anche se oggi, quando leggo e quando scrivo, mi sento lontana dalla fantasy classica, preferendo autori che si soffermano maggiormente sulle psicologie dei personaggi, come Robin Hobb o Luis McMaster Bujold, è bello tornare, di tanto in tanto, a quella bambina di nove anni che per la prima volta sentiva parlare di hobbit.
La locanda dell’ippogrifo nasce, naturalmente, sul tavolo del gioco di ruolo, da una discussione incentrata sui druidi: se un druido può parlare con le piante, come si sentirà poi a mangiare l'insalata? Da lì l’idea delle difficoltà che un proprietario di taverna deve affrontare ogni giorno per fare in modo che tutti i clienti si sentano a loro agio. Su questo nucleo si è poi innestato il ricordo di un racconto letto in una delle antologie curate dalla Zimmer Bladley, in cui c’era un drago bibliotecario che considerava i libri il proprio tesoro. Così, dal gioco di ruolo e dalla letteratura fantasy, è nato il locandiere Ab, intorno a cui il racconto gira.”

Tra l’altro, non hai scritto La locanda dell’ippogrifo per il Trofeo RiLL, ma…

“Ormai da qualche anno gli amici sanno che riceveranno da me due racconti ogni anno, uno insieme agli auguri di Natale e uno in estate, da leggere in vacanza. E, nell’estate 2010, avevo proprio voglia di scappare, almeno con la fantasia, fino alla Locanda dell’Ippogrifo…”

Con il racconto quarto classificato al Trofeo RiLL ci allontaniamo, e di molto, dalle atmosfere ironiche e fiabesche.
L’uomo con la ghironda è una storia cupa, sospesa fra la realtà quotidiana e una dimensione parallela, un apparente Paradiso della Fantasia. Un giurato del Trofeo RiLL ha detto che questo testo “parla di una Narnia creata da un demiurgo malvagio, e della nostalgia di un’età che non può tornare”.
Diamo il microfono all’autore del racconto, Andrea Galla:

“C’è un momento nella vita in cui si apre un bivio: da una parte le responsabilità, dall’altra i sogni e l’infanzia. L’uomo con la ghironda è lì che aspetta sul confine. Offre il sogno, una terra dove tutto può esistere. Dove non esiste malinconia, perché è il tempo è congelato in un eterno e luminoso presente. Ma il prezzo per questa scelta, per questa strada, è altissimo.
Il racconto parla proprio di questo: dell'infanzia, dei nostri sogni, ma anche dei nostri incubi. E di quanto, di fronte ad una scelta, il destino possa essere crudele. Perchè a volte anche un banale gessetto bianco può aprire varchi in mondi sconosciuti, o essere l'ultimo mozzicone di speranza per salvare sè stessi o la persona amata.
Così può accadere che in un piccolo paesino di montagna arrivi l'uomo con la ghironda, coi suoi gessetti bianchi, la sua musica e le sue illusioni.... sconvolgendo il destino di quattro bambini.
Ma nonostante il dolore, la morte e la paura, la ghironda continua a suonare, come un ammaliante canto di sirena."

Mentre la sezione dell’antologia dedicata al XVII Trofeo RiLL è formata da quattro racconti, quella legata all’edizione 2011 di SFIDA consta di sette racconti, opera di altrettanti ex-finalisti (e/o premiati) del Trofeo RiLL: Emiliano Angelini, Matteo Carriero, Enrico Di Addario, Massimiliano Malerba, Antonio Milanese, Luigina Sgarro e Alberto Tarroni.

Come da alcuni anni, la SFIDA da noi proposta consisteva nello scrivere un racconto fantastico usando almeno tre elementi in un set di cinque: il pittore divisionista Giovanni Segantini (come personaggio), la casa delle bambole (come luogo), una capsula (come oggetto), la parola “Patriarca” e infine la frase “Ci sono molti insegnanti ma pochi maestri” (del mistico indiano Osho Rajneesh).

Fra i sette autori selezionati, è giusto iniziare con Emiliano Angelini, che ha ricevuto il premio speciale Lucca Comics & Games per il suo Le cose che perdemmo nel fuoco: una storia di proto-fantascienza, di ambientazione ottocentesca, con echi di Poe e H. G. Wells.
Emiliano, come ti è parsa SFIDA 2011? E come sei arrivato a concepire questa storia a metà fra il gotico e la fantascienza?

"L’edizione di SFIDA di quest’anno era davvero impegnativa. L’inserimento di un personaggio reale come Segantini l’ha resa estremamente interessante. Da subito mi sono chiesto quando ambientare il mio racconto ma, se volevo che Segantini prendesse parte alla storia, non avevo scelta: dovevo rischiare e ricostruire una “scenografia” di fine ’800, aiutandomi con i ricordi delle letture di Poe e Lovecraft. L’unione di questo fattore con uno degli altri elementi proposti, la casa delle bambole, ha ispirato il mio primo racconto steampunk."

Tra l’altro, il tuo racconto ha precisi “debiti” musicali…

"Per me è fondamentale avere un pezzo di riferimento ogni volta che scrivo un racconto. Sono le canzoni che danno il ritmo alle mie storie. In alcuni casi, addirittura, il titolo di una canzone o di un album mi sono stati di ispirazione, in questo caso il disco Things we lost in the fire dei Low. Mentre annaspavo in cerca del ritmo da dare al racconto è arrivata la splendida Sunflower, sempre dei Low. Perfetta!"

Lasciamo ai lettori di scoprire da soli chi è, nel racconto, Sunflower, e cosa, alla fine, brucia nel fuoco… e ricordiamo che, sempre a Lucca Comics & Games, RiLL ha presentato un’antologia personale tutta dedicata ai racconti di Emiliano Angelini, spesso e volentieri premiati nell’ambito dei nostri concorsi. Il volume si intitola Memorie dal Futuro (ed. Wild Boar) e lo stesso Emiliano ce ne parla, su questo sito, in un’intervista ad hoc…

Tornando a SFIDA 2011, passiamo a Il segreto.
Caratteristica del racconto è che “usa” la fantascienza per costruire una storia di famiglia, basata su quattro personaggi, due vivi e due morti, e sui sentimenti che li legano. La storia ruota intorno a Carla, la protagonista, e alla sua ricerca del padre: un fisico, ma anche un pittore dilettante, morto da molti anni, in circostanze solo apparentemente chiare.
Ce ne dice di più l’autrice, Luigina Sgarro:

"Le storie che scrivo parlano di fraintendimenti e di liberazioni.
Il segreto è una storia di famiglia, ma soprattutto di uomini e di donne. Carla, la protagonista, è molto femminile, nel senso classico del termine. Non si intestardisce, non aggredisce, finge di ritirarsi e di rassegnarsi, ma in realtà sta solo aspettando il momento opportuno per capire. È banale, forse, dire che nella vita di una persona le assenze possono essere più importanti delle presenze.
Però, se dovessi parlare del vero tema del mio racconto direi che non è la donna o un punto di vista femminile, né la ricerca, né il segreto, come dice il titolo; direi che è una storia che parla del silenzio: del padre, della madre e, alla fine, anche di Carla, che sceglie, consapevolmente, il silenzio. In un mondo in cui tutto urla, credo possa valerne la pena."

Dai giorni nostri de Il segreto, con Richiesta di trasferimento, di Antonio Milanese, e Castelli di carte, di Matteo Carriero, facciamo decisamente un balzo in avanti nel futuro. Due racconti che hanno in comune la matrice fantascientifica, ma anche l’impostazione generale. Nel senso che, narrando storie di possibili futuri e tecnologie, parlano, in qualche modo, della vita di tutti.

Castelli di carte parla di come, divenendo adulti, arrivi il momento di venire a patti coi propri sogni, assumendosi responsabilità e impegni, e di come questo sia amaro ma inevitabile (oggi, e nel futuro). Senza dubbio uno spunto un po’ diverso da quelli dei racconti di fantascienza sociale cui Matteo ci ha abituato in passato:

“In effetti Castelli di carte è una storia piuttosto atipica, per me.
L’idea, centrale nel racconto, dei personaggi che applicano i principi dell’ingegneria gestionale per ottimizzare la vita delle persone, anziché la produttività delle aziende, mi è venuta molto tempo prima di cominciare a scriverlo.
Il problema su cui mi sono arrovellato a lungo riguardava la possibilità che effettivamente simili individui potessero apportare miglioramenti significativi nella vita altrui. Per farla breve, mi sembrava una sciocchezza. Così mi sono ritrovato impallato, e per un bel pezzo non mi è riuscito di trovare lo sviluppo giusto.
Alla fine ho optato per uno sviluppo molto semplice, forse anche depotenziato, minimalista, rispetto a quanto si poteva fare, ma privo di facili ottimismi. Onesto, insomma.”

Richiesta di trasferimento, invece, è una storia d’amore, seppure un po’ particolare… ed è anche un apologo sul saper cogliere quel che di buono ci riserva la Vita, per quanto possa essere diversa dalle nostre aspirazioni o aspettative. Un racconto di fantascienza, peraltro, ispirato alla realtà, come ci svela l’autore, Antonio Milanese:

"Quando inizio a scrivere un racconto mi concentro su una possibile storia, mai sui grandi temi che può contenere. Anzi, tendo a privilegiare eventi circoscritti, situazioni poco generalizzabili. In questo caso, però, è stato impossibile, perché i grandi temi erano già presenti negli eventi reali da cui ho tratto spunto, legati al mio lavoro di logopedista.
Ho scritto questa storia in un periodo in cui, colpevole il clima politico, stava dilagando a cielo aperto la strategia della via più breve, quella più facile, magari con l’aiuto di un potente. L’incontro con la disabilità mi ha aiutato a capire che spesso un viaggio può essere più importante di una meta, e che non è sempre necessario guardare in alto quando le più grandi motivazioni possono arrivare, sorprendentemente, da chi sta peggio di noi.
Al di là di ogni convinzione individuale, comunque, entrare in contatto con la disabilità, soprattutto infantile, non può che lasciare un profondo senso di ingiustizia.
Il protagonista del mio racconto, Manuel Barker, è stato lentamente e inesorabilmente annichilito dalla voragine che il corso degli eventi gli ha scavato intorno, colpendo le persone più importanti della sua vita. Un giorno, inaspettatamente, gli si prospetta la possibilità di una fuga… Se accettasse molti lo riterrebbero vile, ma esistono principi morali in un universo totalmente preda della casualità?"

Proseguendo con i racconti vincitori di SFIDA 2011, arriviamo a Bella senz’anima, di Alberto Tarroni, e a Il giorno che gli Amish presero il fucile, di Enrico Di Addario, accomunati dall’ambientazione americana.

Quattordici anni dopo L’albero e il bruco (terzo classificato al III Trofeo RiLL) pubblichiamo di nuovo l’amico Alberto Tarroni, che fa della “nostra” casa delle bambole un bordello della provincia americana, nel quale si incrociano i destini di tanti personaggi. Un racconto con una narrazione a metà fra cinema e fumetto, con primi piani alternati e improvvisi “slarghi” delle inquadrature… una specie di western post-moderno, Alberto?

"Piaccia oppure no, la cultura americana permea i nostri gusti e condiziona gli immaginari. Gli Stati Uniti sono un luogo-non-luogo, che ognuno di noi rilegge partendo da ciò che i suoi occhi di bambino hanno assorbito al tempo. Poco importa che la realtà sia diversa.
Se non tutti, almeno molti statunitensi si sentono davvero, ancora oggi, gli eredi della Frontiera, quando l’audacia e l’intraprendenza erano il prezzo della libertà e della fortuna. Non è l’unico esempio, ma certamente il più vivido e persistente, di come un periodo storico tutto sommato breve abbia sviluppato una quantità di richiami, praticamente in tutti i media. Cosa sarebbero gli italiani di oggi se Bonelli non ci avesse proposto Tex Willer? La sua re-interpretazione del mito, insieme allo spaghetti-western di Sergio Leone sono sufficienti a testimoniare che il West, anche per noi, è stato e rimane in qualche modo la Frontiera.
E, forse, il western è più di altri un genere che si presta al fantastico, nel senso in cui lo intende RiLL, proprio perché è già tale di suo. È, appunto, un luogo in un tempo che, però, sono solo canovacci. Pretesti sui quali tessere storie incredibili. D’altro canto, si usa appunto fare riferimento al genere anche quando la collocazione temporale, o geografica, o ambedue sono diverse. È il ritmo che fa il western, con l’aiuto dello sfondo. Servono gli spazi e serve il senso della sfida, dell’uno contro tutti o, magari, del tutti contro tutti sullo scorrere di una natura grandiosa e ostile.
Bella senz’anima è senz’altro un western post-moderno, quello che mi è uscito dalle dita e non solo per il Nevada sullo sfondo (anche se l’esserci stato, lo ammetto, mi ha aiutato), ma perché, quando ti cali dentro allo spirito della Frontiera, lo fai con la consapevolezza che tutto può accadere. Come ci insegnano molti esempi (qualcuno riuscito, qualcuno meno), dietro ogni roccia può esserci in agguato un pellerossa ostile, un comanchero senza scrupoli, uno stregone potentissimo o un venusiano armato di disintegratore. E, complice il colorito rossastro, quanto starebbe bene questo discorso, riapplicato agli sconfinati deserti di Marte…"

Il giorno che gli Amish presero il fucile indica sin dal titolo dove è ambientato: una comunità Amish, sconvolta dall’arrivo della fine del mondo, fra arpie, demoni e... il Diavolo in persona!
Insomma: un’ambientazione originale, grande ritmo, scene di combattimento toste e serrate…. Enrico, come nasce questo azzeccato mix?

"Lo spunto per il racconto è venuto da uno degli elementi proposti: la capsula.
Stavo spiegando a un amico il funzionamento del concorso, durante una festa, e commentavo come quest’anno fosse più difficile che in passato. Subito dopo aver esposto fra i possibili usi del patriarca quello religioso di stampo americano (pensando un po' più all’epoca della Mayflower, a onor del vero) ero passato a lamentarmi dell’oggetto capsula: il termine mi risultava ostico perché mi rimandava alla fantascienza, alle capsule di salvataggio delle navi spaziali; strada che però non volevo battere: un po' per variare rispetto al mio racconto Jebediah Jonze (fra i vincitori di SFIDA nel 2009, e quindi pubblicato in Cronache da Mondi IncantatiNdP), e molto perché il personaggio di Segantini a mio giudizio non si poteva sposare bene con quel genere (è un mio vezzo cercare di usare tutti e cinque gli elementi suggeriti, nei racconti che scrivo per SFIDA).
Così, nell’elencare i possibili usi del termine, mi è venuta in mente la capsula per i messaggi legati alle zampe dei piccioni viaggiatori. “Potrei usare un piccione viaggiatore che arriva in una comunità, una di quelle religiose americane...” ho detto al mio amico, e in pratica ho iniziato a narrargli quello che sarebbe diventato il racconto. “Sembra fico”, mi ha detto lui alla fine, col bicchiere in mano.
Dopo un paio di secondi di riflessione sono corso ad appuntarmi l’idea. Il racconto è nato così.
La scelta degli Amish - una volta chiaro il tema della fine del mondo - è stata praticamente naturale. Mi divertiva moltissimo il contrasto violenza/ non violenza, e la seppur minima conoscenza cinematografica di quella comunità (a partire da Witness) mi faceva sentire sufficientemente a mio agio da ambientarci il racconto.
Le singole figure poi si sono “scavate” da sole: scrivevo del piccolo Ben e vedevo com’era vestito, e tuttora potrei descrivere per filo e per segno sua madre Sarah; anche le figure più particolari, come i Dorfin, quasi pretendevano la propria singolarità, “imponendomi” la scelta delle loro deformità.
Il patriarca Ezekiel è forse l’unica eccezione: in minima parte, infatti, è derivato dal patriarca di un altro dei racconti che ho inviato per SFIDA 2011, La lettera, in cui il patriarca (inteso come membro anziano, padre della comunità) forse non aveva detto tutto quel che aveva da dire… e ha quindi preteso un po’ di spazio anche in quest’altro racconto.
La passione per il gioco di ruolo (nella foto qua sopra potete vedere il buon Enrico in azione -e costume!- a Ludika 1243, a Viterbo, nel giugno 2011, NdP) che mi porto appresso da decenni ha poi sicuramente pesato, soprattutto per descrizione e ritmo delle scene d’azione, ma anche per il finale.
All’inizio della stesura, comunque, non avevo ancora in mente un finale, né tantomeno un personaggio chiave come il Diavolo. Si sono mischiate tante cose, a cominciare dal fumetto Cassidy della Bonelli, di cui sono stato un avido lettore, per generare un bluesman, una sorta di angelo caduto in abiti anni ’20, in tutto e per tutto diverso dalle orride creature da Giorno del Giudizio narrate in precedenza nella mia storia. E, appena messo sulla carta, il Diavolo ha preso in mano il racconto e ha fatto tutto lui, fino alla conclusione in cui..."

Lasciamo un po’ di suspense sul finale del racconto dell’ottimo Enrico, e passiamo all’ultimo racconto della sezione dedicata a SFIDA 2011.
Si tratta di Nella notte assetata, dello stesso Massimiliano Malerba che ha vinto il XVIII Trofeo RiLL con Il Funzionario. Onore al merito quindi per l’amico Massimiliano, che questa volta cambia completamente atmosfera, proponendo un incalzante trip notturno, di ambientazione contemporanea, che si incolla addosso al lettore come la torrida aria d’agosto...
Due racconti in una stessa antologia, e così diversi, Massimiliano…

Nella notte assetata e Il Funzionario sono distanti, senza dubbio, ma anche simili, per certi versi. Entrambi sono racconti di fantascienza noir.
Io non ho scritto Nella notte assetata per SFIDA. Era un racconto già scritto a metà, che non "decollava". SFIDA mi ha dato un impulso notevole, una scossa galvanica, e quello che volevo scrivere davvero è uscito fuori. Il racconto è stato “modellato” proprio in risposta alla SFIDA lanciata da RiLL, che quest’anno era particolarmente difficile.
Nella notte assetata è molto ispirato alle storie notturne di Buzzati, che spesso descrive i condomìni di periferia della sua Milano, ricoperti di angoscia e inquietudini. Altri contributi a questo noir estivo fantascientifico, che si dovrebbe leggere tutto al buio e al caldo, vengono sicuramente da James Ballard e Walter Tevis.
Inoltre, io amo molto i personaggi oscuri, torbidi e perdenti, esattamente come il protagonista. Mi piace che arrivi all’agnizione finale attraverso un anti-climax fatto di macerazione e solitudini, dolore e oblio, incastonati in una canicola estiva nella quale nessun uomo può fuggire al proprio destino. Un destino scritto tanti anni prima... Anche qui, non c’è scampo.
Laddove ne Il Funzionario non esiste il destino, ma solo il cieco caos, qui invece il destino è percepibile come una morsa ineluttabile, oscura e maligna, che giunge a compimento in un crescendo assolutamente inarrestabile da parte del protagonista."

L'antologia 2011 di racconti "dal Trofeo RiLL e dintorni" è anche il frutto del talento dei dieci autori qui intervistati. Speriamo che questi loro interventi vi abbiano incuriosito e vi spingano a scoprire ancora più da vicino il volume... buona lettura!



(nella foto: Sergio Valzania e Massimiliano Malerba, con in mano la penna stilografica Columbus che va al vincitore del Trofeo RiLL, pochi minuti dopo la fine della cerimonia di premiazione)

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